I fantasmi di Ascanio Celestini: l’intervista
Entra nel vivo la terza edizione di “TiQ – Teatro in quota” a Rocca di Mezzo con una serie di spettacoli “site-specific”: concepiti per location sempre diverse scelte per le varie rappresentazioni. Al centro delle proposte di quest’anno, nella kermesse fondata e diretta da Dario Del Fante, ci sono storie e racconti declinati al passato e al presente per regalare attraverso l’arte, il teatro e la musica nuova vita a luoghi che, anche qui, hanno fatto i conti con i segni del sisma.
Non è un caso che uno degli appuntamenti di chiusura abbia come protagonista Ascanio Celestini e la sua Ballata dei senza tetto, lunedì 19 agosto, in piazza della Chiesa Madre alle 21.30. Nei giorni scorsi si sono alternati Giorgio Cardinali e Marco Valeri, mentre stasera la Società del Sorcetto propone, alle 19, Non c’è un lupo bianco nella neve, in via Angelosante: spettacolo omaggio a Lucio Agnifili, fotografo di Rocca di Mezzo scomparso lo scorso dicembre. Domani, sarà la volta di Giulia Bartolini con Carl una Ballata, alle 21.30, sempre in piazza della Chiesa Madre, mentre a Ferragosto sarà il turno di Scegli me di Fulcro (ore 18.30 in piazzetta Pellicceta). Domenica 18, Mattia Neri racconterà nella sede del Parco-Sirente Velino le storie dei paladini di Francia (ore 17) e martedì 20, Matteo Finamore chiuderà il sipario della rassegna promossa dall’associazione Remain con Cucina buona in tempi cattivi.
Tante le rappresentazioni di Ascanio Celestini nell’Aquilano, lui che ha con queste zone un legame privilegiato, se non altro perché da piccolo andava in vacanza a Fossatillo di Cagnano Amiterno. Con la sua capacità di narrare attraverso la cronaca stereotipi dell’immaginario collettivo e intrecciando improvvisazioni e brani dei suoi spettacoli, Celestini raccoglie storie di persone e di luoghi, storie di tutti i giorni che accadono per strada e di cui giornali e tv senza fare notizia. Queste storie sono alla base di un monologo sempre diverso che, con l’accompagnamento da Gianluca Casadei (fisarmonica, tastiere e live electronics), diventa ballata. Un microfono e un leggio per raccontare della barbona italiana che non chiede l’elemosina e vive dentro una casa di plastica, del barbone africano che dorme vicino ai cassonetti dell’immondizia, per terra, e si lava alla fontanella. Poi della cassiera del supermercato di Pueblo (2017) o della vecchia di Laika (2015) che va a fare la spesa insieme alla prostituta e alla donna con l’Alzheimer.
«Ballata dei senzatetto è figlia proprio dei due spettacoli Laika e Pueblo», ricorda Celestini, «sono racconti di fantasmi che diventano persone in carne e ossa solamente quando si rendono protagonisti di fatti di cronaca. Il nostro tentativo, invece, è quello di raccontare o immaginare la vita di questa gente nel quotidiano per restituire ai protagonisti del narrato la dignità di persone».
A volte le sue storie, che siano reali o immaginarie, hanno la forza evocativa del rumore del mare contenuto all’interno di una conchiglia. che valore dà al suo narrato?
«Credo che sia un modo per creare vicinanza emotiva con i protagonisti dei miei racconti. Cerco di entrare nel loro mondo attraverso dettagli, sfumature o elementi che possano evocare un contesto in chi le ascolta».
Le sue storie trovano respiro proprio nei quartieri di periferia. i personaggi si muovono qua e là intorno a due parcheggi dove troviamo “la signora delle slot”, una prostituta rumena che ha aperto un bar con le slot machine e il magazziniere che odia gli zingari. Perché questa attenzione alle periferie?
«Pasolini parlava delle periferie come di “luoghi sconfinati dove credi che la città finisca, e dove invece ricomincia” (in Sesso, consolazione della miseria, ndr). Ci sono dei luoghi di cui ci si dimentica, potrei dirlo in termini concreti visto che, dove abito io a Morena, è come vivere a Roma ma senza arrivarci mai. Le mie storie sono fra la periferia urbana e quella umana, intima».
Lei è stato più volte ospite di incontri nel post – terremoto. Che idea si è fatto?
«Trovo che qui sia stato impedito alla popolazione di scegliere come gestire la fase di emergenza e la successiva ricostruzione. Vari interventi governativi sono stati condotti a prescindere dalle effettive esigenze della popolazione».
Come è arrivato al teatro?
«Studiando antropologia, mi sono appassionato alle storie che raccoglievo. Poi, quando mi è venuta voglia di raccontarle queste storie, ho iniziato a collaborare con gente come Giovanna Marini, brava a far riscoprire le canzoni popolari».
Viviamo in un momento delicato in cui si fa politica con slogan che sembrano uscire dai personaggi delle sue storie anziché argomentazioni complesse. qual è la sua idea?
«La complessità è complessa, appunto. Crea poco appeal. Molto meglio mettere davanti la questione identitaria. Del resto, per anni abbiamo assistito a semplificazioni “da stadio” basate sul noi e loro: Berlusconi parlava della frontiera del lavoro contro “i politicanti di mestiere”; la Lega ha costruito la sua storia sul dualismo Nord – Sud; i 5 Stelle hanno contrapposto loro stessi, come onesti, al resto dei politici».