L’Aquila, il Ramadan dei mille tra studenti e operai
«Molti anni fa mi trovavo in Brasile davanti alle cascate di Iguazu con un missionario italiano e gli chiesi: “Perché ci sono tante religioni se c’è un solo Dio?”. La sua risposta fu: “Vedi queste cascate? Noi le guardiamo dal Brasile, c’è chi le guarda dal Paraguay e chi le guarda dall’Argentina. Sembrano diverse, ma sono sempre quelle, le stesse. Dunque anche se c’è un solo Dio possono convivere varie religioni e vari popoli, possono vivere tra loro in pace rispettandosi a vicenda». El Hassan bin Talal di Giordania spiegò con queste parole ad Alain Elkann il suo “essere musulmano”, all’inizio di una lunga intervista alla ricerca di punti di contatto e occasioni di confronto tra fedi ed etnie in un momento in cui il mondo viaggia in tutt’altra direzione. Quello stesso confronto che un mese come il Ramadan potrebbe aprire in ogni singola comunità locale. In Abruzzo vive l’1,7% dei musulmani presenti in Italia, un migliaio solo all’Aquila dove esistono due luoghi di culto, uno a servizio della comunità marocchina ed egiziana nella parte a Ovest della città e l’altro, più attivo e strutturato, gestito dalla comunità macedone-albanese a Bazzano.
TRA LE INDUSTRIE. La sala adibita al culto è ricavata da un capannone del nucleo industriale. Non saresti mai in grado di arrivarci senza qualche dritta. È Abdula “Duli” Salihi, presidente dell’associazione culturale macedone a spiegare che si entra dal retro del supermercato, passando in una viuzza che si apre tra un caffè e una sala scommesse. Un capannone altrimenti anonimo se non fosse per uno striscione “Affittasi locali industriali” con un numero di telefono e l’insegna del Centro culturale islamico Xhamia Drita. Ad accogliere chi si avvicina c’è proprio il presidente di questo sodalizio, Aljii Mirsadin, 47enne di origine macedone, componente – come Salihi – del tavolo interreligioso della prefettura.
UNA VERA MOSCHEA. È stato lui a presentare, insieme ad Andulai Djemaledin, l’Imam locale, la richiesta della concessione di contributi per la realizzazione di una vera moschea in città. «Non è un nostro vezzo», sottolinea Mirsadin, «è la legge regionale 29 del 1988 che ce lo consente, facendo domanda al Comune». In città, neanche a dirlo, apriti cielo: la richiesta ha sollevato numerose polemiche, sia da parte degli esponenti di Fratelli d’Italia, sia da una parte di cittadini che si dicono contrari.
RESISTERE. Dentro il capannone della zona industriale non si prega solo. C’è chi chiede un caffè (dopo il tramonto si può), chi gioca a Domino e carte, chi telefona a casa. Si parla, si sta insieme e ci si fa forza. Non è facile affrontare il Ramadan quando cade in questo periodo dell’anno con tutte queste ore di luce. Sopportare il caldo, mantenere la concentrazione senza neanche poter bere. In questa comunità che conta 5-600 persone, ci sono molti muratori e vari studenti. «Dobbiamo tenere i nervi saldi», spiegano un paio di ragazzi. «In questo mese sopporti cose che non sopporteresti in un altro momento». Del resto, c’è chi si trattiene sino a fine preghiera, verso mezzanotte, anche se poi c’è davanti solo qualche ora di sonno se si vuole fare colazione. All’interno dell’area adibita a moschea è l’Imam a scandire i tempi. Si prega e si parla del vero volto della beneficenza: quello di chi dona sé agli altri.