Giuseppe, il gruista sfuggito alla camorra
Giuseppe proviene da una famiglia numerosa, sette fratelli e cinque sorelle. È nato a Secondigliano, un quartiere di Napoli a volte piuttosto “movimentato”. Un quartiere di cui si parla tanto, ci sono disoccupazione, un po’ di delinquenza «ma dove vai vai Napoli è un casino», sottolinea, «c’è la gente tranquilla e quella più vivace, lì ognuno sceglie la sua strada, chi va di qua e chi se ne va di là. La gente è povera, ma è ricca di cuore, perché il poco che ha lo divide sempre». Una vita di impegno e sacrifici la sua, senza mai scendere a compromessi. La sua storia è parte integrante dello storytelling che accompagna il libro di Claudia Pajewski, “Le mani della città”, un volume che contiene scatti e racconti di vita vissuta all’interno dei cantieri della ricostruzione post-sisma.
«Ho sempre lavorato nella mia vita», spiega, «perché volevo una famiglia come si deve, ma ho tanti amici con cui giocavo da bambino che per sfortuna o perché l’hanno voluto, si sono ammazzati tutti quanti tra di loro. Da piccoli si andava a scuola insieme, erano bravi ragazzi».
«Sai», spiega, «vedi quelli un po’ più grandi di te che fanno la bella vita, vuoi somigliargli, prendi le loro abitudini. Si formano delle famiglie, poi si fanno dei clan, poi si mettono in guerra tra di loro, ognuno comanda il quartiere suo, e il più forte è quello che rimane in piedi. La fortuna ti viene incontro ma sono soldi maledetti, non sono guadagnati con il sudore. E così tanti amici sono morti giovani. Le mogli, quando c’erano i mariti facevano una vita brillante, perché i soldi volavano. Poi si sono ritrovate in mezzo a una strada con i loro bambini. Invece a me questo genere di vita non ha fatto mai gola, guadagnavo di meno, ma stavo tranquillo. Nella vita non puoi avere sia la felicità sia i soldi».
Sono stati i genitori a forgiare il carattere di Giuseppe orientandolo nella scelta tra il bene e il male. «Vengo da una famiglia bisognosa, ma ho imparato a fare il mio dovere, rispettare la gente e comportarmi bene», racconta. Nel racconto di Giuseppe, le vicende personali si intrecciano continuamente con quelle lavorative. «Poi ho conosciuto mia moglie, mi sono sposato giovanissimo, a diciannove anni. E così sai, un po’ è stato anche l’amore che mi ha legato a lei a farmi scegliere bene».
L’esperienza nei cantieri aquilani è storia recente. «Sono un gruista», racconta, «prima stavo a Venezia, a novecento chilometri da Napoli. La prima volta mi ha fatto impressione, vedevo una città bombardata. Ora la vedo diversa, alcuni palazzi finiti e il lavoro che va avanti. Un giorno voglio portare anche la mia famiglia a visitarla, mia moglie l’ha vista solo qualche volta in televisione».