Lithium 48: la playlist che accompagna il libro
Quando avevo sedici anni e mezzo avevo un gruppo: le nostre canzoni affrontavano temi banali come vita, amore e morte.
Non ho mai rinnegato i tempi in cui sognavo di diventare famoso come Cristina D’Avena. Poi però sigle come quella di Ken il guerriero e Devilman mi hanno spinto a glissare verso generi più roccheggianti. Però il passaggio è stato lento e mitigato da tante vie di mezzo, come Jovanotti e Vasco Rossi. Verso gli otto-nove anni e mezzo ho iniziato a fare a cazzotti con una tastiera. Avevo anche un’insegnante e un metodo di studio Berben®. Poi con le scuole medie è arrivato il flauto. E il pentagramma. Le mie canzoni si sono fatte più complicate. Ho imparato a suonare le melodie polifoniche e mi sono anche fatto portare una chitarra dalla Befana. Una chitarra tutta mia. Era Stella, la mia chitarra appunto. Che però allora non chiamavo Stella. Veramente all’epoca non la chiamavo affatto, La strimpellai per un po’ all’inizio, prima di riporla nell’armadio, in attesa di prendere lezioni. Così convinsi i miei a iscrivermi a un corso basato sui metodi Gangi® e Sagreras®.
Ho capito subito che le corde fanno sei suoni diversi, e che questi suoni corrispondono a mi-si-solre-la-mi. Per farcelo ricordare, il prof ci ripeteva «pensa a mi si sorella a mì». Ho anche capito che il primo “mi” si chiama cantino, e l’altro no. Molto altro, però, non sono riuscito a fare, visto che le lezioni erano una palla tremenda e l’insegnante chiese a mia madre il favore di togliermi dal corso, perché – a detta sua – né imparavo, né facevo imparare gli altri. Quello è stato il mio primo approccio con la chitarra. Per un po’ ho lasciato perdere. Poi, invece, sono arrivati i Litfiba, e ascoltare loro mi ha fatto avvicinare alla musica alternativa. Se la speranza è l’ultima a morire, chi visse sperando morì non si può dire. Ho iniziato con il rock all’italiana, per tuffarmi poi nelle sonorità anglosassoni, a cominciare da quello che restava degli anni Ottanta, Europe e Guns n’ Roses soprattutto. In un secondo momento ho passato in rassegna tutti i mostri sacri dell’hard rock anni Settanta, prima di lasciarmi coinvolgere nelle atmosfere alternative rock anni Novanta, legate ai bacini di Seattle e Chicago. Era il periodo dei Nirvana, dei Soundgarden e dei Pearl Jam. Così ho ripreso in mano la mia Stella per imparare i primi accordi, e messi tre uno dopo l’altro, ho scritto la prima vera canzone. Si chiama “Can’t feel it”
Col tempo ho imparato a scandire la vita al ritmo delle canzoni dei Pearl Jam che sono piene di alti e bassi, come del resto la vita di ciascuno di noi, così ironicamente ricca di contraddizioni. Un giorno hai problemi per chiedere l’ora per strada e magari, poi, ti capita di stringere la mano al presidente degli Stati Uniti.