“Lorca eran todos”, il breve viaggio di un sognatore
18 Dicembre 2016 Condividi

“Lorca eran todos”, il breve viaggio di un sognatore

Hay que soñar.
Desdichado del que no sueñe,
pues nunca verá la luz…

Bisogna sognare,
sventurato chi non sogna
perché non vedrà mai la luce

Tratto da New York, Andalusia del cemento (Aurora edizioni)

Madrid, luglio 1936. Come ogni anno, sull’altare della cappella del Real Monasterio de la Encarnación i fedeli si riuniscono per ripetere il miracolo della liquefazione del sangue di San Pantaleón, la cui reliquia è custodita gelosamente all’interno della struttura. La tradizione è molto simile a quella napoletana in onore di San Gennaro e, proprio come avviene per il patrono partenopeo, tutti pregano affinché il sangue del santo si faccia liquido per tenere lontane tutte le possibili sventure. Stavolta il miracolo non si ripete. Un fatto analogo era successo solo venti anni prima durante la Grande Guerra. È un triste segnale.

15589556_1163264680405412_59559872211243298_nIl mese successivo, a Fuente Grande nei pressi di Víznar , paese dell’entroterra granadino, Federico García Lorca viene fucilato dalle forze falangiste insieme ad un maestro di scuola e due ‘banderilleros’. La storia di Federico García Lorca, il suo viaggio attraverso i primi decenni del ventesimo secolo si interrompe bruscamente. Gli occhi di Federico si chiudono mentre la Spagna sta vivendo una delle pagine più drammatiche del secolo scorso, la Guerra Civil. Il violento impatto tra le diverse ideologie, che porterà al secondo conflitto mondiale nonché ad una lunga lista di sanguinosi scontri interni in molte nazioni, ha fatto un’altra vittima.

Il 1936 si è preso la vita di un artista, un poeta e soprattutto un uomo, capace di sfruttare la forza delle sue idee, dei suoi sentimenti e persino delle sue insicurezze per realizzare un’opera letteraria e teatrale immortale. A Lorca sono bastati 38 anni per entrare nell’olimpo dei grandi della letteratura mondiale di tutti i tempi. “Some die just to live” dirà una canzone statunitense degli anni Novanta. Oggi infatti il suo nome si trova accanto a quello di Miguel De Cervantes in cima alla lista degli autori spagnoli più tradotti e amati.

«Che poeta – scriveva di lui Pablo Neruda in Confieso que he vivido –. Non ho mai visto riunite, come in lui, la grazia e il genio, il cuore alato e la cascata cristallina. Federico García Lorca era lo spirito scialacquatore, l’allegria centrifuga, che raccoglieva in seno e irradiava, come un pianeta, la felicità di vivere. Ingenuo e commediante, cosmico e provinciale, singolare musicista, splendido mimo, timido e superstizioso, raggiante e gentile […]. Nel teatro e nel silenzio, nella folla e nel decoro, era un moltiplicatore della bellezza. Non ho mai veduto un tipo con così tanta magia nelle mani. Non ho mai avuto un fratello più allegro di lui. Rideva, cantava, musicava, saltava, inventava, crepitava.»

Difficile definire Lorca con pochi aggettivi, o con parole che non siano quelle inventate da lui stesso, tipo “ciorpatielico” come proprio Neruda amava ricordare. Per provare a descrivere l’immaginazione “loca y nerviosa” che ha guidato Lorca nella realizzazione di tutti i suoi progetti, non basterebbe neanche un Supercalifragilistichespiralidoso di Mary Poppins. «Yo tengo el fuego en mis manos», dirà di sé stesso.

Nato il 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros, un paese della Vega di Granada poco distante dalla città andalusa, il poeta venne battezzato come Federico del Sagrado Corazón de Jesús. Suo padre, Federico García Rodríguez, era un ricco proprietario terriero e sua madre è Vicenda Lorca Romero, una colta maestra di umili origini.  “Da mio padre ho ereditato la passione e da mia madre l’intelligenza”, dirà di sé.