L’Aquila, una Tendamica nel deserto della città sparsa
30 Gennaio 2016 Condividi

L’Aquila, una Tendamica nel deserto della città sparsa

«Pe’ conosce ’na persona ce se magna ’nu tumulo de sale». Giulio legge i proverbi ad alta voce e cerca di fare alla meglio in un dialetto scritto come viene su uno smartphone. Gente che fa dentro e fuori la tenda cerca di dare un senso a queste chicche di saggezza popolare o si cimenta con le carte. Dentro alla Tendamica si celebra la messa e si gioca a biliardino, si fanno i cenoni di Capodanno, si gioca a carte e si discute, si recita il Rosario e si gioca a ping pong, si fa il catechismo la mattina. Qualche volta ci si sposa anche, oppure si celebrano i funerali, quando capita. Anche due eventi nello stesso giorno, quello lieto la mattina, l’altro il pomeriggio. Di questi tempi si è fatta anche la cena di Sant’Agnese. Un po’ tutta la vita del quartiere del Progetto Case di Bazzano ruota intorno a questa tensostruttura che venne edificata durante la fase emergenziale. Un’iniziativa della Protezione civile la cui funzione era inizialmente quella assistenziale. Subito gli abitanti di questa comunità l’hanno ribattezzata Tendamica.

Per molti, lo spaesamento imposto dall’esilio forzato e da un nuovo stile di vita è stato superato anche grazie alla coesione sociale. Un fenomeno per certi versi strano tanto da attirare la curiosità del giovane film maker torinese Giorgio Santise, allievo del Centro sperimentale di cinematografia. Da Torino è arrivato all’Aquila perché appassionato di reportage e documentari. «Mi piace raccontare il reale». Diverse settimane di riprese, tutto rigorosamente in bianco e nero, per realizzare questo documento inedito, scandito dalla quotidianità della gente che anima la struttura. C’è sempre qualcuno seduto dentro. Anziani, bambini, mamme. C’è spesso anche il parroco, don Romano Slugocki – di origine polacca – che coordina le attività sotto la guida della diocesi. «Noi amiamo questa tenda». Lo dice con un sospiro profondo Luciana Tomei, 66 anni.

 

Mentre parla, in tanti si sistemano a semicerchio intorno all’ingresso della tenda, in modo da potersi guardare in faccia e nello stesso tempo sbirciare fuori. «Qui dentro abbiamo organizzato tanti spettacoli teatrali», spiega Luciana. «Le associazioni culturali organizzano concerti di musica classica», spiega. «Per fortuna ogni tanto si ricordano di noi che siamo qui».

Ma quello che sfugge a chi non conosce questa realtà è l’inedita mutua solidarietà che si crea da queste parti. Nelle new town non si può fare la spesa e, se non fosse per qualche ambulante che ha imparato a fare il giro di quartieri antisismici, sarebbe difficile anche comprare pane, sigarette e companatico. Certo, qualche eccezione c’è, specie nelle aree Map dove gli amministratori locali hanno fatto in modo che le attività produttive venissero ricollocate il più possibile vicino alle case provvisorie.

Un grande problema per gli anziani. Proprio per questo motivo, spazi di aggregazione come la Tendamica diventano importanti perché mettono gli anziani a contatto con i giovani che magari non fanno fatica a fare la spesa al posto loro. Ecco che nascono legami inediti, magari con gente che in altri contesti si sarebbe guardata con diffidenza. È la stessa signora Luciana a parlare di Larissa, una ragazza romena: «Prima del terremoto non avrei fatto entrare nessuno in camera mia, meno che meno uno straniero. Adesso siamo grandi amiche e spesso le do le chiavi di casa».

di Fabio Iuliano