22 Ottobre 2015 Condividi

Pearl jam, still alive dopo 25 anni

Prima della lotta contro Ticketmaster, prima dei concerti per i quali sono diventati leggende del rock, prima di quel colpo di fucile che ha sconvolto un’intera generazione e molto prima delle setlist twittate e dei video condivisi su YouTube, prima di tutto questo, venticinque anni fa i Mookie Blaylock tenevano il loro primo concerto in un localino di Seattle, nel quartiere South Lake Union. Si chiamava Off Ramp Cafe e ora non esiste più – chiuso nel 1998, ha riaperto i battenti qualche anno dopo come El Corazón. Anche i Mookie Blaylock non esistono più. Oggi tutti li conosciamo come Pearl Jam.

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La storia della band capitanata da Eddie Vedder inizia esattamente venticinque anni fa oggi. In realtà parte qualche anno prima, con due giovani musicisti le cui strade artistiche si erano incrociate prima nei Green River, poi nei Mother Love Bone. Dopo la tragica scomparsa per overdose del leader di quest’ultima band, i due ragazzi, che si chiamavano Stone Gossard e Jeff Ament, si presero un’intera estate per cercare di capire cosa ne sarebbe stato del loro futuro e se la musica poteva ancora fare parte delle loro vite. Fortunatamente, decisero che volevano continuare a suonare insieme.

Cosa si prova a rivedere oggi il video della prima performance dei futuri Pearl Jam?

Sono tanti i pensieri che passano per la testa guardando su YouTube quel vecchio filmato amatoriale così grezzo e sgranato. Si vede una band intenta a muovere i suoi primi, incerti passi e che, più che un concerto, sembra stia facendo delle prove a porte aperte.

Quello che oggi tutti conosciamo come il frontman carismatico in grado di far vibrare i cuori di migliaia di fan con un semplice gesto della mano, ancora non esiste; al suo posto c’è un ragazzo spaesato e molto, molto timido, che canta con il cuore in mano ma fa fatica a pronunciare anche solo qualche parola di ringraziamento. Porta una camicia di due taglie più grande, degli shorts neri, una t-shirt bianca e ha i capelli lunghi e rasati ai lati. È a Seattle da poco; l’8 ottobre è volato fin lì da San Diego per provare per la prima volta con la band, dopo che Jeff e Stone sono rimasti di stucco sentendo la sua voce registrata su un demo con tre pezzi strumentali di Stone che gli aveva passato l’amico comune Jack Irons. Fa quasi tenerezza, verrebbe voglia di incoraggiarlo con un abbraccio.

Alla sua destra sul piccolo palco dell’Off Ramp c’è Jeff Ament, che indossa un cappello e una t-shirt oversize e sembra appena uscito da un allenamento di basket. Chino sul suo strumento, cerca di non sbagliare le note che, in quel momento, non sono state nemmeno registrate nella loro versione definitiva. Gossard è quello che pare più a suo agio, è alla sinistra di Eddie e si muove al ritmo delle cadenze più funky delle canzoni, coi suoi lunghi capelli raccolti in una coda. Stupisce Mike McCready, più defilato ma che già riesce a coinvolgere il pubblico coi suoi assoli infuocati, rubando occasionalmente la scena agli altri. Dave Krusen, il batterista, quasi non si vede; durerà poco, i suoi problemi con l’alcol lo porteranno presto ad allontanarsi dalla band.

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Il primo show di sempre dei Pearl Jam inizia profeticamente sulle note di Release –  tuttora l’opener ideale di ogni loro concerto – in una versione non ancora definitiva su cui Vedder improvvisa in parte le liriche. Emoziona vedere Jeff che si avvicina istintivamente a Eddie, evocando quell’immagine schiena vs. schiena che i fan della band ameranno in modo così viscerale negli anni a venire. Segue una versione non riuscitissima di Alone, pubblicata ufficialmente solo tre anni dopo, e qui impreziosita da un potente assolo di McCready. Alive, la canzone forse più conosciuta, viene proposta in una versione grezza ma che già fa intuire che è destinata a diventare un anthem. Il breve show – neanche quaranta minuti di durata – continua con quelle che diventeranno le classiche Once, Even Flow e Black, per terminare con due canzoni ormai considerate parte del repertorio più oscuro della band, ma che qui risultano forse le più riuscite. Colpisce infatti vedere la foga con cui Vedder canta Breath – con un testo provvisorio e in una versione più rallentata rispetto a quella che verrà incisa per la colonna sonora del cult movie generazionale Singles – e come il resto della band si lasci contagiare dallo slancio del suo futuro leader. Anche il pubblico pare accorgersene e applaude fragorosamente al termine del main set.

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Anche migliore è Girl, che costituisce l’unico encore (!) e che verrà pubblicata solo diciannove anni dopo in occasione della ristampa diTen. Just A Girl – questo il suo titolo ufficiale, mentre sui demo di Gossard è listata come Evil ‘E’ – è sorretta da un riff catchy e contagioso e da un’interpretazione intensa ed efficace di Eddie. Ricorda vagamente uno dei suoi vecchi pezzi coi Bad Radio (Homeless) e, incredibilmente, sarà suonata solo un’altra volta dal vivo. Se fossi stato tra il pubblico di quel concerto avrei scommesso che sarebbe stata proprio quella la canzone che li avrebbe fatti conoscere. Strano, vero?

 

E invece… come ben si sa, i Pearl Jam nel corso della loro lunga carriera hanno fatto scelte che decine di altre band non avrebbero mai nemmeno preso in considerazione. Per anni non hanno girato videoclip, non hanno concesso interviste se non a pochissimi giornali da loro attentamente selezionati, si sono battuti per cercare di abbattere i costi di prevendita sui biglietti dei loro concerti, e sono arrivati ad un passo dallo scioglimento dopo la tragedia di Roskilde di quindici anni fa. Il primo concerto all’Off Ramp non lascia certo presagire che quel gruppo di ragazzi è destinato a diventare la più importante rock band delle ultime tre decadi, ma pianta i semi dai quali germoglierà quella bellissima storia che oggi tutti conosciamo. Come scriveva Jeff Ament in una delle prime newsletter del Ten Club, “Come con la tua pianta preferita, aggiungi solo acqua e guarda crescere i Pearl Jam”.

Il messaggio è arrivato forte e chiaro, Jeff.

Vi abbiamo guardati crescere in questi 25 anni e continueremo ancora a cavalcare l’onda con voi, ovunque ci porterà.

Happy birthday, guys!

di Luca Villa – fonte Barracudastyle