Pasqualina: la ragazza dagli occhi tristi che sapeva sorridere
Gliel’hanno detto alla fermata dell’autobus, mentre dal complesso Case e Map di Camarda stava attendendo un mezzo per scendere in città. Poche parole, qualche riga di giornale e Camelia Ingrid Ghimici, 46 anni, originaria della Romania è scoppiata in lacrime.
«Pasqualina era come mia figlia», ha continuato a ripetere per tutto il pomeriggio, mentre i suoi occhi cercavano foto e immagini che la ritraevano con Pasqualina Bucci, la 24 enne trovata morta in un alloggio nei quartieri antisismici di Cese di Preturo. «Ci siamo conosciuti quando eravamo tutti sfollati alla caserma della Guardia di Finanza», ricorda mentre sul computer fa scorrere le immagini da un cd rom con scritto su “poze de familie”. «Sono stati per noi momenti intensi. C’era ancora mio marito Gianfranco che purtroppo è venuto a mancare qualche tempo fa e con i miei tre figli passavamo molto tempo insieme a quella ragazza».
Pasqualina appariva solitaria, ma era socievole e con la famiglia di Camelia c’è stato subito un buon feeling. «Mio figlio Gabriel ha la stessa età e i due erano molto amici», racconta. «Lei veniva sempre volentieri anche ai compleanni dei miei figli più piccoli, Franco e Màdàlina». Parla mostrando la ragazza che ha in mano un piatto con la torta della piccola Madi. Era la festa dei due anni, mentre ora ne ha sette, mentre Franco ne ha da poco compiuti dieci. Il ricordo della donna è interrotto dal rientro da scuola dei due bambini. Sono entrambi entusiasti della giornata: Franco in particolare ha rimediato un bel dieci a inglese. «Che bravo che è mio figlio», esclama Camelia malcelando un po’ di orgoglio. «Io non so neanche parlare in italiano e lui già conosce bene tre lingue».
Le immagini cominciano a scorrere. All’epoca, Pasqualina viveva con la famiglia: la madre e il suo compagno e i tre fratelli, due ragazzi più grandi e una sorellina più piccola. «Non sono mai andati d’accordo con quella ragazza e l’hanno sempre emarginata», spiega, «la vedevamo da sola sul balcone e le dicevamo: ehi che fai? Perché non passi un po’ di tempo con noi?». Una festa di compleanno si diceva, ma anche due passi al centro commerciale e qualche gita al mare. «Non ho il costume», rispondeva facendo per rifiutare. Ma poi bastava poco per convincerla. «Le dicevamo: “vieni così come stai, bastano un paio di pantaloncini e una maglietta” e saliva in macchina con noi. Siamo stati una volta a Giulianova e un’altra a Roseto. Ci volevamo molto bene», prosegue la donna i cui occhi si soffermano su altre istantanee di famiglia. Ora il primo bagnetto di Madi, ora i due piccoli a cavallo dell’orsetto rosso, ora una gita estiva verso la Sardegna. Pasqualina è rimasta alla Caserma di Coppito anche dopo il trasferimento della sua famiglia. Era considerata nucleo familiare a sé e viveva di una pensione statale.
Secondo il racconto di Camelia, al centro della separazione tra Pasqualina e la sua famiglia ci sarebbero contrasti e incomprensioni con gli altri fratelli. «A volte era l’espressione della rassegnazione, la vedevi in giro con degli occhi tristi e ti chiedevi cosa fosse successo». Poche parole, un sorriso strappato e una borsetta sempre addosso grande quanto lei, tanto che agli occhi di chi la ricorda sembrava un postino. «Però lei è sempre stata bene, se la cavava», argomenta Marco Ruscitti un amico della donna.
«Lavorava periodicamente, era attiva. Ed era anche molto scrupolosa nell’utilizzo dei medicinali e degli psicofarmaci. Era sola, certo. Ma di solitudine non si muore. Questa vicenda è veramente poco chiara». Lo sguardo è molto perplesso mentre si apre una lattina di Lomza, una strana birra russa aromatizzata al limone. «Siamo tutti rimasti molto colpiti da questa tragedia, ci sarebbero tante cose da dire, tante domande da fare. Ma credo che sia importante lasciare riposare in pace Pasqualina. Il tempo ci darà tutte le risposte».