26 Aprile 2009 Condividi

STORIE DALL’AQUILA CHE RINASCE /6

terremoto20abruzzo20anziana20in20carrozzina_p1L’AQUILA. I disabili non potranno rimanere nelle tendopoli in eterno. La denuncia parte dalle associazioni di
volontariato cittadine che in questi giorni si rapportano a fatica con le varie organizzazioni di Croce Rossa e Protezione civile insediate nei 194 campi dell’Aquilano.  Se è difficile a chiunque ritagliarsi un angolo di tranquillità quando si divide una tenda di pochi metri con altre sei o sette persone, la situazione è di gran lunga peggiore per chi ha difficoltà a muoversi liberamente, vedere, udire o comunicare. Perché uno shock come quello del terremoto à molto più difficile da digerire per chi porta il peso di una disabilità psichica o fisica. È il caso di Gaspare Ferella, presidente della Comunità per disabili XXIV Luglio. Ferella deve convivere con una disabilità motoria congenita, ma questo non gli impedisce di coordinare l’attività della Comunità. All’Aquila risiede in un appartamento nella zona di Pile con sua moglie Annamaria. Dimenticare la notte del 6 aprile sarà difficile
per entrambi. «Abitiamo al quarto piano», racconta, «e ogni volta che non possiamo usare l’ascensore ci impieghiamo almeno mezz’ora per salire su». Trenta minuti che diventano un’eternità quando devi lasciare l’abitazione al più presto. Adesso Ferella è ospite dei suoi parenti a Pescara. Da lì coordina il lavoro a stretto contatto con i volontari che sono nella tendopoli del centro commerciale Globo. Il campo ospita anche assistiti provenienti dalle case famiglia. Ma non tutti i disabili hanno la stessa assistenza e operazioni relativamente semplici, come andare al bagno, possono diventare un problema. Questo senza contare i problemi per trascinare una carrozzina nel fango di alcuni campi, come quelli di Fossa o Piazza d’Armi, ad esempio. Ma c’è comunque chi, tra il personale sanitario, considera le tendopoli un primo nucleo da cui ripartire. «Abbiamo scelto di rimanere nei campi all’Aquila», spiega Vittorio Sconci, «per non far trasferire i nostri assistiti dentro strutture sconosciute. Qui nelle tendopoli, questi ragazzi potranno continuare il loro percorso terapeutico».