Le luci di Parigi riflesse dai gilet
Assistiamo da spettatori protagonisti a questo tempo così caotico, dove la storia ci consegna il già visto, il già vissuto. Sarà questo Otto, che suona la marcia di riscossa delle masse? L’Occidente è pieno di date storiche con questo numero, il più ricordato in questi giorni è il Sessantotto. Cinquant’anni dopo di quei tempi politicizzati cosa resta nella protesta dei Gilet Gialli, che sta dilagando a macchia d’olio in Francia e ora anche a Bruxelles?
Resta la richiesta di un mondo più giusto, dove le ricchezze siano equamente suddivise, ma cambiano i colori, le bandiere e le ideologie di supporto.
Dove regna sovrana la confusione, s’intrufola pericolosamente la repressione. Il sogno di un’Europa unita, è rimasto solo un sogno. Sappiamo che quest’unità è stata incentrata solo su accordi economici, presi dall’alto, contando sul fatto che tutti gli europei, acquietati dalla sbornia di conquiste economiche e sociali degli anni Settanta e Ottanta, non si sarebbero accorti di quale mannaia stava calandogli addosso e così è stato.
Erano voci che gridavano nel deserto, di biblica memoria, chi invocava scelte economiche responsabili e oculate. Ricordo il buon Luigi Spaventa, che ci ha lasciato nel 2013, quando paventava un’economia rigida, contrariamente a quella che prometteva il buon Tremonti, con la sua economia creativa, caldeggiata dal vecchio Berlusconi, che ancora parla o meglio straparla, trombato dal suo stesso linguaggio, che è stato ereditato e perfezionato a nostro danno.
Quello che sta accadendo in Francia, economicamente parlando, da noi è già successo e continua ad accadere, a dispetto della sbandierata Manovra Economica del governo Giallo-Verde. Governo che tenta di cavalcare la protesta francese a suo favore, così come l’oscuro Trump e le ancora più pericolose forze occulte, di cui neppure immaginiamo l’identità.
L’Europa non è ancora nata, perché non basta una moneta per unire secoli di discordie, però potrebbe finalmente nascere dai comuni bisogni di tutti i suoi cittadini, che siano francesi, belgi, italiani, greci, spagnoli, ognuno con la sua storia di soprusi e conquiste sociali alle spalle, messe drammaticamente in discussione dalla schiacciante concorrenza economica mondiale.
Fermate il mondo voglio scendere. Recitava un famoso slogan in tempi, in cui la globalizzazione era solo agli inizi. Tempi che hanno segnato la nostra cultura, fatta di brutto e di standardizzato, reso fruibile attraverso la scatola, chiamata tv, che è diventata sempre più sottile, così come la nostra coscienza critica. Ho letto diversi articoli sulla rete, anche di firme autorevoli, sui fatti di Parigi di questi giorni. Le argomentazioni della protesta francese mi trovano assolutamente d’accordo, quello che mi lascia perplessa è l’assenza di organizzazione. Le proteste maturano sulla rete, prendono il via da un video postato su youtube da un cittadino qualunque. È successo anche alla rete delle donne Se Non Ora Quando, contro la violenza e per le pari opportunità. In quel caso, sarà perché la questione femminile ha dei contorni netti e precisi, sarà perché è trasversale e universale, la divulgazione attraverso la rete ha dato i suoi frutti migliori nelle manifestazioni corali in tutto il globo. Questo, che sembra a tutta prima una conquista eccezionale, nasconde invece il suo carattere effimero e superficiale.
Sulla rete tutto scorre dietro algoritmi che non sono umani, creati dagli umani, raffinato strumento di tortura dell’intelligenza e della memoria. Il tempo è scandito dagli algoritmi, che corrono veloci, per questo qualsiasi accadimento è destinato a durare il tempo di un po’ di foto, di alcuni video, mentre la scia dolorosa di morti e feriti finisce triturata dai mille suoni scomposti dell’oblio.
Tornando ai Giubbotti Gialli, è anch’essa una protesta nata per caso, sull’onda di un malcontento e di una crisi economica che in diciotto anni ha messo in ginocchio tutta l’Europa. È la guerra economica che si stanno facendo tra super potenze, che non hanno mai digerito questa prepotenza della nostra moneta e delle nostre politiche protezioniste. Gli States hanno numerosi conti in sospeso, non a caso il buon Trump si affianca alla protesta, anzi pretende di farla propria. Lui un protezionista conservatore, roba da matti: non pensate?
Noi italiani diventiamo ogni giorno più feroci. Preferiamo confidare sull’armonia dei suoni e delle parole dei politici d’assalto. Siamo affascinati dai moderni mezzi di comunicazione, usati per confondere l’informazione, tenerci distanti dagli intenti e vicini ai piatti di spaghetti. C’è oltretutto da stare attenti alla formazione dei presunti Giubbotti Gialli in Italia, il cui strano ideatore è amico del nostro vicepremier di colore verde, che assomiglia ogni giorno di più all’Incredibile Hulk, cartone animato noto degli anni Novanta.
Tutti i più oscuri personaggi della politica cercano di cavalcare questa protesta, che proprio perché appetibile a tanti poteri occulti, corre il rischio di essere gravemente strumentalizzata, risultando alla fine distruttiva nei confronti delle motivazioni che l’hanno generata.
Non è perché non sentiamo sibilare le bombe sulle nostre teste, significa che non siamo in guerra. Una guerra che si sta combattendo sulle nostre schiene da anni. Una guerra preconizzata da pensatori come Pasolini, che per questo hanno avuto tragici destini.
Ora a noi non resta che provare a non essere spettatori passivi, scuotendo la coscienza di chi si lascia abbindolare da una parola sonante, che apparentemente lo rappresenta.
A volte ho orrore delle parole e del solco che tracciano nell’arido terreno della nostra povera cultura generale, di popolo cresciuto male; dove le pretese hanno preso il posto delle proteste e l’arroganza ha scippato il trono alla coscienza.
Non resta che ricominciare come formichine a mettere insieme i frammenti di critica e coscienza. Come semi da reidratare, li immergiamo nei libri e nel fantastico mondo del pensiero umano, perché siamo ottimisti e inguaribili sognatori, nonostante ci abbiano rubato le immagini migliori.