Paola Minaccioni, racconto la mia Anna Magnani
3 Agosto 2025 Condividi

Paola Minaccioni, racconto la mia Anna Magnani

Un racconto intimo, potente, profondo. Dopo i successi dello scorso inverno con “Elena, la matta”, Paola Minaccioni torna in scena con “Paola racconta Anna”, spettacolo dedicato alla figura di Anna Magnani. L’appuntamento è per domenica 10 agosto all’Anfiteatro di Alba Fucens, nell’ambito della rassegna “Dal Tramonto all’Alba Off”. Un lavoro targato Savà Produzioni Creative e Feltrinelli Editore, con musiche originali dal vivo firmate da Valerio Guaraldi, e un testo scritto da Elisabetta Fiorito, giornalista e drammaturga. Il testo intreccia aneddoti, testimonianze, poesia e memoria in un’operazione teatrale che è anche dichiarazione d’amore. «È uno spettacolo che dedico a mia madre, ad Anna Magnani e a tutte le donne che hanno fatto una fatica per iniziare qualcosa», racconta l’attrice, che oltre a interpretare cura anche la regia. La Magnani che viene evocata è quella pubblica e privata, madre, attrice, donna libera. Una narrazione fatta di parole, musica, immagini tratte dai suoi film, ma anche versi di Pierpaolo Pasolini, Giuseppe Gioachino Belli,  Mauro Marè, Sara Kane e Rodrigo Garcia o canzoni di Gabriella Ferri e della stessa Magnani.

Com’è nato questo omaggio?
«L’idea dello spettacolo non è mia. È stata di Elisabetta Fiorito, che ha scritto anche il testo. Inizialmente avevo detto no: non impazzivo all’idea di confrontarmi  con una figura così grande, come fanno a volte alcune attrici per mettersi in mostra. Non volevo caderci».

E poi cos’è cambiato?
«Mi ci sono avvicinata piano piano. Non per l’attrice, ma per la persona. Magnani mi ricordava molto mia madre, nel carattere, nel temperamento. Quelle donne capaci di gesti grandiosi per amore, ma anche con lati oscuri, profondi. Come il mare, con l’onda che ti porta via e poi ti risucchia. Le somiglianze erano troppo forti. Così ho sentito un’affinità umana e familiare».

Peraltro, nel 2021 ha vinto anche un premio intitolato alla Magnani.
«Ancora oggi è motivo di grande orgoglio».

C’è anche una riflessione sulla condizione femminile?
«Certo. Oggi, da donna adulta, capisco molto meglio anche mia madre, e con lei la Magnani. Il fatto che si sia sposata una volta sola, che abbia gestito tutto da sé – patrimonio, carriera, vita – negli anni Cinquanta, quando alle donne veniva insegnato a essere mogli e angeli del focolare… Beh, è straordinario».

C’è qualcosa di meno conosciuto che lo spettacolo vuole restituire?
«Non è stato cercato a tavolino, ma certo emergono aspetti poco noti. Abbiamo fatto una ricerca, poi selezionato ciò che ci sembrava più significativo, guidati dall’affetto, dall’amore per lei. Alcuni aneddoti e momenti della sua vita li conoscono in pochi».

Cosa spera arrivi al pubblico?
«Mi hanno detto che è uno spettacolo onesto, intimo. Che fa venire voglia di vedere tutti i suoi film, di amare il teatro, di innamorarsi del cinema. Questo mi ha reso felice. Il pubblico è curioso, si fida di me».

La sua storia continua a colpire anche per la fatica fatta dopo l’Oscar…
«Sì, incredibile. Uno pensa che dopo l’Oscar si aprano tutte le porte, e invece no. Il suo compenso era aumentato, ma in Italia volevano continuare a pagarla poco o offrirle film mediocri sperando di attirare le produzioni americane. Dopo l’Oscar, la sua carriera è diventata paradossalmente più difficile. Una fatica continua».

Un esempio di come il sistema non rispetti neanche i più grandi?
«Esatto. Anche lei, che era la Magnani, ha dovuto lottare. Era una persona colta, autonoma, molto più della ‘popolana romana’ che interpretava. Amo chiamarla “signora Magnani” proprio per rispetto: tra me e lei c’è distanza, non voglio appropriarmi».

Parliamo dei giovani attori oggi: quali ostacoli principali?
«Il nostro è un mestiere artigianale. Io vengo da una generazione diversa, ho avuto modo di costruire una mia cultura, un mio immaginario. Oggi è difficile distinguersi in mezzo ai pupazzi, diciamolo. C’è chi ha un successo clamoroso senza avere nulla a che fare con la recitazione».

E nel suo caso, com’è stato essere anche regista?
«Ormai sono regista di me stessa, anche se ho lavorato con registi come Leo Muscato. Ma sì, alla fine dirigo in modo spontaneo. Anche se nell’audiovisivo, lo ammetto, mi piacerebbe lavorare di più».

Lo spettacolo ad Alba Fucens sarà diverso per via della location?
«No, non cambiamo nulla, ma siamo felicissimi di portarlo in un luogo così bello. È uno spettacolo che può adattarsi ovunque. Questo inverno abbiamo portato Elena la Matta al Castello Orsini di Avezzano, lavorando su un adattamento minimale per via degli spazi ridotti. Mi ha colpito molto, però, il livello di interazione col pubblico»

In generale, ha un legame particolare con l’Abruzzo?
«L’Abruzzo è una terra che amo. Ho lavorato col Tsa e fatto serate  a Civitella Alfedena, Pescasseroli».

Cosa bolle in pentola per il futuro?
«C’è un progetto nuovo, ma non posso ancora parlarne. È una serie, arriverà più avanti».

di Fabio Iuliano – articolo uscito anche sul Centro