Gilmour, una ruota del tempo tra le bighe del Circo Massimo
>Quando le luci del palco allestito al Circo Massimo finalmente si abbassano, l’umidità in platea e sulle tribune laterali contrasta con le temperature ancora miti di una domenica di inizio autunno. Una domenica in cui anche l’attesa dentro e fuori l’area concerto ha un suo perché. Tra Colosseo e Aventino, tanto ricorda i Pink Floyd, dalle t-shirt griffate ai disegni degli artisti in strada che immaginano il lato oscuro della luna. Anche le jam in strada segnano l’attesa, tra una “Wish You Were Here” voce e chitarra e una “Another Brick in the Wall” dalla lunga coda funky, con terzetto chitarra-voce, basso e batteria.
Alle 21, però, la scena è tutta per David Gilmour e il suo “Luck and Strange World Tour”, giunto alla terza delle sei serate. Il primo a salire sul palco è il bassista Guy Pratt. “Noi siamo qui… non qui”, dice sorridendo puntandosi un telefonino sugli occhi. L’invito è a godere del concerto più possibile, rinunciando allo smarthpone. “Se proprio non potete fare a meno di usarlo”, sottolinea, “evitate flash, torce e schermi troppo luminosi”. I buoni propositi per dare retta a Pratt – che ha abituato il pubblico a queste richieste anche durante il tour con Nick Mason – ci sono tutti. Però lo spettacolo di musica, luci, laser e fumogeni colorati, costituisce una tentazione non da poco. Un concerto che strizza l’occhio alla nostalgia, senza farsene però ingabbiare e senza compiacimento verso un passato pur imponente.
Sul palco allestito nell’antica arena romana, davanti a 15mila fan ogni sera, arrivano le prime note di “5 A.M.”, seguite dal nuovo brano strumentale “Black Cat” e dalla title track dell’ultimo album “Luck and Strange”, title track del nuovo album provata anche nel soundcheck pomeridiano.
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Ma è con l’inconfondibile inizio di “Breathe” che la platea è esplosa, lasciandosi trasportare in un viaggio attraverso i capolavori dei Pink Floyd, tra cui “Time”, accompagnata dagli orologi proiettati sullo, e “Wish You Were Here”, cantata a squarciagola dal pubblico.
È il momento per Gilmour di presentare la formazione con Greg Phillinganes e Rob Gentry alle tastiere, Adam Betts alla batteria, Ben Worsley alla chitarra e Louise Marshall insieme a Hattie e Charley Webb alle voci, oltre allo stesso Pratt. “Ho dimenticato qualcuno?”, scherza guardando verso sua figlia Romany che imbraccia l’arpa per “Vita Brevis” e “Beetween Two Points” dei Montgolfier Brothers (1999) già divenuta uno dei brani simbolo del nuovo album. Una cover elaborata durante il lockdown, con un arrangiamento e un assolo sovrapposti a una metrica interessante. Sul palco Gilmour e sua figlia sono uno di fronte all’altra, come le sculture di Botero nell’allestimento temporaneo tra piazza del Popolo, via del Corso, e la terrazza del Pincio.
Gilmour, a tratti poeta ermetico della chitarra, mostra soprattutto il suo lato umano: la sua voce tradisce il tempo che passa, specie nei brani più conosciuti, pur lasciando intatta la magia del momento. Piccolo brivido alla fine del primo set su “High Hopes”… la steel che tutti attendono non si sente, Gilmour alza le mani e subito il tecnico di fiducia si getta sul palco e la chitarra riparte fra gli applausi. In contemporanea, i palloni che compaiono nel visual si materializzano come una magia sulle teste del pubblico. Gilmour ringrazia più volte il pubblico durante la serata (“Thank you, thank you indeed”) e anche la città che lo ospita (“Che bella serata qui a Roma”).
Il secondo set prevede una travolgente versione di “Sorrow”, uno dei momenti più potenti del concerto. “A Great Day for Freedom” risuona con forza, “The Piper’s Call” lascia spazio all’ukulele di Charley Webb mentre “In Any Tongue”, tratta da “Rattle That Lock”, mantiene intensità e denuncia, con Worsley ad affiancare Gilmour in un duetto di chitarra e voce. Il concerto rallenta poi rallentato i ritmi con l’emozionante “The Great Gig in the Sky”, interpretata in modo magistrale dalle Webb Sisters e dal gruppo vocale femminile accompagnato dalla Marshall al pianoforte. La performance rende omaggio all’indimenticato Rick Wright, con una toccante “A Boat Lies Waiting”. Segue “Coming Back to Life” che Gilmour dedica alla moglie Polly Samson. L’avvio nell’intro è sicuro e deciso, a differenza della serata del debutto. Il set prosegue con la potente “Dark and Velvet Nights” per raggiungere il climax con “Scattered”, tra visual mozzafiato ed energia palpabile.
Tutti sotto al palco, infine, per “Comfortably Numb”, i cui assoli sono valsi da soli il prezzo del biglietto. Dopo le sei date capitoline, Gilmour suonerà alla Royal Albert Hall di Londra e negli Usa.