Simona Molinari, L’Aquila e gli esordi
«Sono troppo aquilana per essere napoletana e troppo napoletana per essere aquilana». Ne ha fatta di strada la bella Simona Molinari dai tempi degli scout, quando conquistò il suo primo riconoscimento musicale, camminando sulle impronte di Baden-Powell (il generale, mica il chitarrista!). Pochi mesi di fazzolettone e gonna di velluto le hanno fatto scoprire una vocazione che l’avrebbe accompagnata per sempre: a forza di intonare “Risposta non c’è”, “Un bravo lupo” e “Insieme abbiam marciato per strade non battute”, si è guadagnata sul campo la specialità di “scout canterina”. Da quel momento, il canzoniere non l’ha mai abbandonato. Trentanove anni compiuti e seconda di quattro fratelli, si è trasferita all’Aquila con la famiglia quando aveva 4 anni. Suo fratello maggiore Luca, oggi ingegnere, aveva due anni più di lei. Poi sono arrivati Massimo e Francesca. I ricordi d’infanzia sanno di campetti di periferia, di uscite con gli amici, anche del gruppo della parrocchia. Col canto ha deciso di fare sul serio sin da poco più che bambina. Ha iniziato a 8 anni, verso i 16 ha cominciato a specializzarsi nella musica leggera e nel jazz, tornando anche a Napoli. Parallelamente, è entrata al Conservatorio affidando la sua tecnica ad Antonella Fusari.
Prima di approdare al Teatro Ariston di Sanremo, nel 2009, Simona già aveva collezionato collaborazioni con artisti italiani di rilievo sia in ambito teatrale che musicale, da Michele Placido a Caterina Vertova, da Edoardo Siravo a Giò Di Tonno, con il quale aveva lavorato nel musical “Jekyll & Hyde”.
Lei cantava in uno spazio di piazza Machilone davanti all’Evoè. Oggi la piazza è solo un punto di passaggio, ben lontana dal fascino pre-terremoto. Eppure, da quelle parti, sembra ancora di sentire il suo gruppo jazz. Cosa è rimasto di qui tempi?
«Avevamo una piccola jazz band e portavamo avanti delle jam semplici e spontanee. Con me c’erano Raffaele Pallozzi, Fabrizio Pierleoni e Fabio Colella. Insomma, la Mosca jazz band al completo. Tanto di quello che poi è successo nella mia carriera parte da questo progetto musicale».
Una carriera che l’ha portata a esibirsi su palchi di tutta Italia, ma anche in numerose date all’estero. Eppure, lei ha sempre dimostrato di essere legata all’Aquila, come di recente, ad esempio, quando ha scelto di avviare la presentazioni del suo “Petali” dal capoluogo, il 5 aprile scorso.
«Mi sembrava un modo per sentirmi vicina a questa città che mi ha visto crescere e mi ha dato tanto. Nel tornare all’Aquila, l’ho ritrovata nuova, con una luce diversa e bellissima, unica tra le sue ferite ancora non del tutto rimarginate e tra le sue storie da raccontare. Nel comporre questo album, ho sperimentato sulla pelle che i cicli della vita vanno e vengono, si passa dal buio alla luce e viceversa. Dobbiamo imparare a danzare tra questi cicli. Imparare a godere della luce e a riempire i vuoti. Questo ho imparato in un tempo di silenzio e isolamento come quello della pandemia in cui il tempo si è dilatato, permanendo nella sua dimensione sospesa».
Cosa ricorda del 6 aprile?
«Il 6 aprile, al momento della scossa, ero appena arrivata a Roma. In pochi, al momento, avevano la consapevolezza di cosa stesse succedendo. Poi però sono cominciate ad arrivarmi le telefonate dall’Aquila e mi sono resa conto. La mia famiglia è uscita di casa e ha fatto quasi sei mesi in tendopoli. La nostra casa è stata classificata B, sono rientrati solo a Natale. È stato un periodo emotivamente impegnativo. È stato emotivamente impegnativo, perché da una parte c’era la promozione dell’album da mandare avanti: cose stancanti, belle, che mi portavano altrove con il pensiero. Dall’altra c’era il dolore di essere lontana dalla mia città e non poter condividere questa vicenda con la mia famiglia e i miei amici».
L’Aquila si avvicina a un altro appuntamento importante, quello della Perdonanza che quest’anno sarà impreziosita dalla visita di Papa Francesco. Cosa lasceranno questi giorni alla città?
«È un riconoscimento veramente bello da parte del Pontefice che ha scelto di dedicare un gesto così rilevante alla città, come non avviene certo ovunque. L’Aquila sta dimostrando che si può rinascere dalle proprie macerie».
Parliamo della sua L’Aquila, dove è cresciuta e ha portato avanti le prime amicizie, le prime frequentazioni?
«Ricordo con affetto i pomeriggi in parrocchia a San Pio X, con gli amichetti della zona. Poi le prime uscite con i compagni di classe delle medie».
Dove ha fatto le medie?
«Alla Dante, per poi proseguire gli studi all’Itas, con specialità internazionale».
Che lingue ha scelto?
«Inglese, francese e tedesco».
Che ricordi ha di quei tempi? «Naturalmente le uscite in centro, come quasi tutti i coetanei».
Ci sono luoghi della città a cui è legata, magari dove ha suggellato delle amicizie importanti. Dove ha dato il primo bacio, ad esempio?
«Beh, è stato alla Villa comunale, ma fu un bacetto, niente di che. Anche perché avevo 13 anni e facevo ancora le medie».
Chi era il fortunato?
«Un mio compagno di classe».
Accanto alla musica, c’erano altre passioni nel doposcuola?
«Il basket, sicuramente. Ero in campo nella divisione femminile, avevamo una squadra ed eravamo piuttosto forti».
Da adolescente, accanto alle occasioni scandite dal Conservatorio ha iniziato a suonare in città. Cosa ricorda?
«Ricordo con affetto le realtà musicali che ho vissuto, il gruppo con il quale condividevo la musica, i Mamò. Eravamo un bel po’ di ragazzi e partecipavamo a numerosi progetti, anche tour fuori città. Con me c’era gente, come Marco Rotilio, Miriam Foresti, Franco Casilli, Giuseppe Signori. Tutta gente per cui la musica rappresentava tanto nella vita. Tutte persone che continuano a suonare anche oggi. Insegnavo canto alla Icarus, inoltre. E come dimenticare le serate di pianobar insieme a Eleonora Scarsella e Diego Colaiuda. Il Conservatorio mi ha portato via molto tempo, ho frequentato a lungo le attività curriculari e ho sostenuto gran parte degli esami, ma non sono mai riuscita a diplomarmi. E questo, a differenza di quello che c’è scritto sulla mia pagina di Wikipedia. Mi sarebbe piaciuto, per carità, ma gli impegni tra registrazioni e concerti non me l’hanno permesso».
Prossimi concerti?
«Martedì a Napoli, in piazza Plebiscito per “Restate a Napoli”. Poi, un paio di date sempre al Sud, dove sono ospite di Raphael Gualazzi».