Gran Sasso, verso la Direttissima
Pensi di uscire in montagna per stare un po’ da solo, e invece ti ritrovi a fare a gomitate sui sentieri. Basta una bella domenica d’agosto a trasformare i percorsi che da Campo Imperatore conducono alla Vetta Occidentale in una specie di villaggio vacanze. Te ne accorgi quando arrivi davanti all’hotel e sei costretto a farti strada tra quad, mountain bike, bancarelle, mucche, cavalli, Harley Davidson e comitive di escursionisti di ogni tipo, anche di quelli che ai bastoni per il trekking preferiscono i bastoni per i selfie. Tutto questo, a ridosso della vetta, si trasforma in un formicaio di persone che sbucano da un versante o dall’altro del Corno Grande.
L’obiettivo? Scattare la foto con alle spalle la croce dei 2.912 metri e mettere la firma sul libro-ricordo. Io non ce l’ho fatta: mi sono fermato due metri più giù per evitare una coda che ricorda quella delle casse al centro commerciale. Meglio mangiare un panino con calma, la firma ricordo la metterò la prossima volta. In un momento in cui non si dorme la notte per studiare come incentivare le presenze in montagna, è un peccato lamentarsi per il traffico sui sentieri. Ma il problema è relativo alle condizioni dei sentieri stessi, per anni lasciati senza manutenzione e alla mercè di escursionisti improvvisati che mettono a rischio se stessi e chi li affianca. Come chi sceglie di ignorare le vie solcate e, camminando, trascina a valle sassi e detriti.
LA DIRETTISSIMA. Non paga neanche la scelta di optare per la direttissima, la via più impegnativa verso il Corno Grande tra quelle percorse da non esperti. Lo scenario è mozzafiato ma basta una comitiva di escursionisti marchigiani a monopolizzare il Sassone e rendere tutto più difficile. Sì perché, fatta con le dovute cautele, la salita è alla portata di chiunque stia fisicamente bene, sia bene equipaggiato e, soprattutto, non soffra di vertigini. C’è da procedere mani e piedi, sfruttando gli appoggi che offre la roccia, e qualche punto è esposto. Per ben equipaggiato vuol dire delle scarpe adatte – visto che da queste parti talvolta si avvista anche gente con i sandali – e soprattutto, un casco da alpinista. Specie nei periodi in cui il sentiero è maggiormente affollato, basta un minimo movimento a far scivolare dei sassi che possono perforare il cranio. Per questo c’è da proteggersi. Paradossalmente, percorrere questa via in estate può essere molto pericoloso proprio a causa di questi sassi che scivolano a valle. Ogni tanto senti «sassooo…», «sassooo..» e sai che devi seguirne con gli occhi la traiettoria. Raggiunta la Sella di Monte Aquila (2.335 metri), lascio la via Normale (quella più trafficata) per trovarmi ai piedi del Corno Grande. Il Sassone segna l’inizio della Direttissima e, da questo punto in poi, l’indicazione è quella di seguire i cerchi verdi sulla roccia. Mentre sto pensando che avrei bisogno di uno “sherpa” si materializza Emilio Ciammetti. Anni di soccorso alpino alle spalle – lavorava con la Guardia di finanza – si concede qualche week-end in montagna con la sua compagna. Salgono insieme con tanto di imbracatura di sicurezza. Anche per lei è la prima volta, fisico asciutto ma un po’ di vertigini con cui fare i conti. Eppure se la cava benissimo.
I RISCHI. «Con la dovuta cautela i pericoli sono limitati», valuta Ciammetti, «ma bisogna fare attenzione: basta un po’ di pioggia per trasformare queste rocce in canali di scolo che travolgono la gente, come è successo quest’estate con quella donna al monte Prena. L’inverno è tutto un altro scenario, se da una parte l’ascesa è più facile con la neve, c’è da fare i conti con il pericolo slavine fatale a molti escursionisti». All’imbocco del sassone c’è una lapide in ricordo di Massimiliano Giusti, il giovane aquilano morto nel 2012 con scritto “La montagna è fatta per veri amici”. Mentre il giro prosegue attraverso la Cresta ovest, Ciammetti fa notare che i sentieri sono talmente trascurati che i tratti della via Normale possono nascondere pericoli per la presenza di brecciato che fa scivolare. Lo sa bene un gruppo di persone che risale a fatica, bici in spalla, verso la Sella dei due corni, per poi pedalare fino a Prati di Tivo. «Spesso facciamo da soli la manutenzione di alcuni sentieri», sottolinea Enrico Olivieri del gruppo di bikers “Svirrienn”.