l cinema è anche l’arte di mettere in musica immagini. Ma cosa succede quando è la musica a trattenere le immagini già di per sé? A lungo, due amici ne hanno discusso. Parlando del mondo e del loro lavoro, all’interno dello stesso universo artistico. Uno realizza cinema, l’altro realizzava musiche per il cinema. Poi la sua morte lo ha consegnato alla leggenda dei compositori di sempre, anche grazie a quel capolavoro di docu-film è che è Ennio. Ma ancora prima di diventare pellicola, le lunghe chiacchierate tra il regista Giuseppe Tornatore e il compositore Ennio Morricone, hanno riempito le pagine di un libro – edito da Harper Collins – pressoché omonimo (solo che accanto al nome “Ennio” il titolo reca anche la dicitura “un maestro. Conversazione”).
Pagine nelle quali il cinema è un tema ed è un pretesto, qualche volta in primo piano, qualche altra sullo sfondo dei loro incontri. Ne parlano, lo affrontano, lo rigirano da ogni parte per capire cosa sia stato, cosa sia oggi e che futuro abbia, lo osservano da cineasti, lo osservano da appassionati, lo osservano anche da spettatori. Intrecciano le loro opinioni, i loro racconti, le loro sensazioni. Ogni tanto sembra che i loro ruoli si invertano. Tornatore cerca una sua musica delle immagini, Morricone una misteriosa visibilità dei suoni.
L’autore di Nuovo cinema Paradiso cerca risposte, si mette in gioco. Morricone, dall’alto di quattrocento colonne sonore, rende “visibili i suoni” e poi descrive in modo impareggiabile l’angoscia dell’autore: “un compositore scrive su carta, poi quella carta la mette in un cassetto. Esiste quella musica? No, non esiste. Perché esista devi darla a chi la eseguirà. E anche questo non basta, perché serve qualcuno che la ascolti”.
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Altro libro che indaga la capacità del compositore di trascendere tra parole, suoni e immagini è “Suono comunicante. La musica immaginata di Ennio Morricone” (Officina di Hank) che parte da un’affermazione: Morricone non è stato solo un compositore ma un convinto comunicatore. “La sua carriera è stata fortunata e brillante ma ciò che era importante per Morricone si racchiudeva in quel suo antico mestiere di comunicatore della musica”, si legge nelle note della presentazione. “Usando l’immagine filmica nel corso della sua lunga vita è riuscito a cambiare il modo d’intendere la musica per film. Ha insegnato agli americani come creare score usando un linguaggio non standardizzato; ha creato per alcuni film delle partiture che saranno immortali, quindi oltre il tempo. E non è solo per una questione di essere un melodista intelligente. La forza di Morricone sta proprio nell’essere stato contemporaneo dei suoi tempi, sia da un punto di vista sociale che compositivo. Negli anni settanta aveva intuito dove sarebbe andata l’arte compositiva”.
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“Pertanto”, prosegue la presentazione, “dopo aver creato con Leone una nuova dinamica di cinema/musica è stato capace di rivoluzionare il linguaggio usando tante strategie che gli hanno poi permesso di essere Ennio Morricone. In anni difficilissimi come quelli del terrorismo egli non si sottrae a collaborare con compositori che non hanno fatto finta di narrare i tempi vissuti. Morricone non ha nascosto nulla. Negli anni ottanta ha aperto al futuro ed è diventato per gli americani il Maestro. Negli anni novanta e fino alla fine è riuscito a consolidare il suo essere compositore e comunicatore. Ed è stato perfetto”.
Quindi Ennio Morricone è stato futuribile e con la sua ricerca di sonorità rarefatte ha creato un vero must. Scomparso lui rimane certamente il vuoto di una possibile via alla composizione contemporanea. Pertanto narrare Morricone significa narrare una parte di società italiana e dei grandi cambiamenti a cui ha contribuito. In una possibilità di futuro e di forza comunicante.
di Fabio Iuliano – fonte: www.thewalkoffame.it