Dischi in vinile, unica resistenza alla musica digitale
Dio benedica i vinili. Sempre e comunque. Un supporto che sopravvive alle sfide tecnologiche, così come alle mode del momento. Un supporto, paradossalmente, capace di rinnovare la propria immagine proprio mentre si rende “vintage”. Un supporto capace ancora di fare la differenza sul mercato. Non a caso, la Riaa, associazione americana dell’industria discografica, aveva rilevato nella prima metà del 2020 i ricavi della vendita di vinili al 62% rispetto a tutti i supporti fisici, un risultato di gran lunga superiore a quello dei cd (232 milioni di dollari, contro 120). Differenze del genere, in percentuale, non erano state registrate dagli anni Ottanta. Ben quarant’anni fa, lasso di tempo che nell’universo musicale e multimediale più in generale rappresenta un’enormità. Nel mentre è accaduto di tutto infatti, compreso l’avvento di Internet e delle piattaforme streaming online.
Dio benedica i vinili, ultimo avamposto di difesa del concetto di “album studio”, le cui uscite fanno i conti l’evoluzione digitale non solo nelle produzioni discografiche, a partire dalle sessioni di registrazione, ma anche con la forte affermazione della distribuzione in digitale. Questo soprattutto grazie agli store online e alle piattaforme streaming. Un sistema trainato inevitabilmente anche dalle restrizioni dell’ultimo anno e mezzo che hanno spinto milioni di consumatori a cercare online la loro offerta musicale.
“Questo”, come si è trovato a far rilevare il giornalista Federico Guglielmi ai microfoni del collega avezzanese Domenico Paris, in occasione del primo anniversario del magazine Thewalkoffame.it, “spinge le case discografiche a frammentare la produzione, puntando sui singolo, così un po’ come si faceva negli anni Sessanta con i famosi 45 giri che veicolavano il successo del momento: era di solito un percorso propedeutico alla realizzazione e alla distribuzione dell’album. Oggi questo passaggio si sta un po’ perdendo, è vero che si sta tornando al singolo pezzo, ma questa scelta è figlia di logiche che non hanno nulla a che vedere con la musica.
Negli anni Sessanta – Settanta, le etichette prendevano un giovane e lo inserivano in un percorso di crescita. Oggi, invece, si immette sistematicamente un singolo sul mercato per vedere se quel prodotto può funzionare, salvo poi accompagnare l’artista alla porta dopo una o due mini-uscite se visualizzazioni o download non convincono”. Un problema che è il segno dei nostri tempi: “Tutto tende a essere rapido e veloce senza dare ai musicisti la possibilità o il tempo di sviluppare una maturità artistica”.
Se non altro, proprio grazie all’online, i dati di mercato sono comunque incoraggianti così come divulgato dalla Fimi (Federazione industriale musica italiana), sulla base del Global Music Report annuale, a cura dell’Ifpi (Industria fonografica internazionale). Nel 2020 il mercato globale della musica registrata è cresciuto del 7,4%, segnando il sesto anno consecutivo di crescita con ricavi complessivi pari a 21,6 miliardi di dollari. “La crescita”, rileva la Fimi, “trainata dallo streaming, è legata in particolare ai ricavi dagli abbonamenti premium, aumentati del 18,5%: alla fine del 2020 si registravano infatti 443 milioni di utenti di account in abbonamento a pagamento. La crescita dei ricavi in streaming ha più che compensato il calo dei ricavi di altri formati, inclusi il segmento fisico – diminuito del 4,7% – e i diritti connessi, diminuiti del 10,1% a causa della pandemia”.
In un anno decisamente complesso per la musica, l’Italia ha mostrato una forte affermazione dei consumi digitali, che hanno registrato una notevole impennata negli abbonamenti streaming premium, i cui ricavi hanno visto un incremento del 29,77% superando i 104 milioni di euro. “Si registra una significativa affermazione dei consumi anche sulle piattaforme social”, sottolineano dalla federazione, “dove i ricavi dai modelli sostenuti dalla pubblicità sono cresciuti del 31,59% raggiungendo complessivamente 38,9 milioni di euro; e non è da meno il video streaming, che segna + 24,97%. Il grande utilizzo di canali come Instagram e Facebook durante la pandemia ha dato un’accelerata a queste piattaforme, oltre ai tradizionali servizi come Spotify, Amazon Music, Apple Music e altri.
La quota di mercato del digitale raggiunge così l’81% di tutti i ricavi dell’industria in Italia, contro il 72% del 2019”. Tra fisico, digitale e diritti il mercato ha generato lo scorso anno oltre 258 milioni di euro, segnando + 1,44% sull’anno precedente. Anche chi ha prodotto un album ha avuto la propria parte e le cose non sono andate bene solo ai Maneskin (in verità fenomeno discografico planetario). Il risultato è che nel 2020 sono stati certificati 156 album tra oro e platino, poco sotto i 166 dell’anno precedente. Il segmento fisico è stato penalizzato nel 2020 dalle ripetute chiusure – anche se in parte compensate dalla crescita dell’e-commerce. E se il vinile continua a mostrare una crescita costante, segnando un incremento del 2,50%, a frenare la caduta del cd ha contribuito il Bonus cultura con 16 app d’acquisto.