“La mia città deve investire sui teatri”
4 Febbraio 2021 Condividi

“La mia città deve investire sui teatri”

Se vuoi rimettere in piedi una città, c’è certo da lavorare con materiale da costruzione”. Inizia così l’intervento di Eugenio Incarnati, autore e registra teatrale che interviene dall’Aquila e a proposito della situazione teatri nel capoluogo abruzzese. “Ma se poi vuoi anche che essa sia abitata, vissuta, amata, considerata veramente ‘città’, allora devi portare calce e mattoni anche verso i luoghi di arte e cultura. Non si scappa. Ce lo dicono anche i numeri”.

di Eugenio Incarnati – I dati SIAE degli ultimi anni parlano chiaro: dove ci sono teatri che lavorano, lì c’è un territorio vivo; infatti la Lombardia è la Regione nella quale si fanno più spettacoli (776,9), seguita dal Lazio (541,2 mila) e l’Emilia-Romagna (379,5 mila- dati 2019). Il settore conta molto anche per l’economia: il giro di affari degli spettacoli dal vivo, raggiunge, in Italia, quasi i sette miliardi di euro. Un settore rilevante, direi, anche considerando che la maggior parte dei lavoratori dello spettacolo costano poco e rendono molto.

I dati del 2020 non ci sono ancora, ma sarà interessantissimo parlarne quando saranno disponibili, perché testimonieranno dei molti sforzi fatti (senza generare contagi) nei periodi brevissimi in cui è stato consentito fare spettacoli e concerti.

Ma viene prima l’uovo o la gallina? Viene, cioè, prima il teatro o lo sviluppo globale? Le due cose vanno a braccetto, perché il mondo dello spettacolo dal vivo è anch’esso uno dei settori dello sviluppo e, come tale, genera, se florido, sviluppo globale. A L’Aquila, poi, s’è visto chiaramente: dopo il terremoto, la programmazione culturale si è rivelata (o confermata) strumento fondamentale per dare nuova vita alla città.

Attualmente ci sono molte polemiche sulla mancata nomina, per L’Aquila, di “Città della cultura”. Sarà pure una sconfitta ma, negli anni, la nostra città, per la cultura, ha già ottenuto molti fondi e di sicuro ne otterrà ancora. Ma allora il malessere, nei pochi lavoratori dello spettacolo qui sopravvissuti, dipende solo dal Covid che blocca tutto? Dov’è il punto? Di cosa ci lamentiamo?

Ci lamentiamo, ad esempio, dell’ utilizzo delle risorse in senso centrifugo (eccezion fatta per alcuni validi sforzi istituzionali); e poi della scarsissima attenzione verso “i luoghi” del teatro, praticamente ignorati dalla ricostruzione. I teatranti, però, non vogliono parlare solo di economia e mattoni. Si sa, sono figure poetiche.

Proviamo, allora (pur brevemente), ad approfondire, per capire se è vero che il “teatro” sia utile, se è vero che esso svolge funzioni “riconosciute” che travalicano gli aspetti del mero intrattenimento commerciale. C’è, da un lato, l’ esperienza collettiva (del pubblico) della fruizione di uno spettacolo dal vivo. Espressione tipica, esclusiva della nostra specie (sviluppata in epoche di grande avanzamento), veicola contenuti culturali e simbolici. Con lo spettacolo si sono instaurate abitudini civili (cioè tipiche della città), mai più abbandonate. E basterebbe questo a dimostrare che senza teatri, non c’è città.

C’è, poi, il valore della esperienza della “pratica teatrale e artistica”: nelle scuole, nei centri diurni, nei centri anziani, nel mondo dell’inclusione e della promozione dell’agio sociale (e persino nella formazione aziendale), c’è un fiorire (Covid permettendo) di attività e progetti innovativi che si avvantaggiano, a fini formativi, delle figure degli artisti, teatranti in testa. Sia se si parli, dunque, del primo aspetto (l’esperienza del pubblico), che del secondo (la pratica teatrale ed artistica), non si può non concludere che questo mondo merita più attenzione da parte delle istituzioni.

I teatranti non chiedono molto: solo di elevare gli standard del loro lavoro che attualmente sono, notoriamente, bassissimi. Calandoci nella realtà del nostro territorio, in cui la crisi è ormai strutturale, investire nei teatri e negli artisti significa molte cose: significa lavorare per popolare e qualificare la città, facilitare il lavoro di bar, ristoranti, negozi e mercati, rafforzare un settore non irrilevante per l’economia e, dulcis in fundo, valorizzare dei lavoratori che danno olio ai cardini della vita civile e promuovono benessere… Sarebbe bello parlarne ancora. Avere un assessore alla cultura, che risponda a queste sollecitazioni, magari, aiuterebbe.

Fonte: TheWalkofFame.it

Eugenio Incarnati