Tifo violento e diversità al Festival del reportage
«Iniziai a interessarmi della curva dopo aver letto su un muro questa scritta: “Il potere deve essere bianconero”. La cosa che mi colpì allora è che, solo qualche anno prima, sui muri al massimo si scriveva che “il potere deve essere operaio”». Così il regista e direttore del Centro di cinematografia sperimentale – sede dell’Aquila – Daniele Segre, presenta il suoi documentari dedicati ai tifosi juventini, a quattro decadi dai suoi primi lavori – Ragazzi di Stadio (1979), preceduto da Il potere deve essere bianconero (1978) – considerati prime vere inchieste sul mondo ultras italiano.
Oggi alle 18.15, in occasione dell’ultima giornata del Festival del Reportage e del Documentario, il palazzetto dei Nobili all’Aquila ospiterà la proiezione del film “Ragazzi di stadio 40 anni dopo”: la macchina da presa di Segre è tornata a girare in un ambito non proprio tra i più accessibili: il gruppo dei Drughi, una delle cinque tifoserie organizzate della curva juventina.
Il nome riprende quello dei delinquenti di “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick (1971), riferimento a sua volta tratto dal romanzo omonimo di Anthony Burgess: un fotogramma con le sagome dei Droogs campeggia sullo sfondo di uno dei set di questa serie di interviste a fedelissimi bianconeri. Al termine della proiezione, in un confronto moderato dal giornalista Stefano Buda, Segre dialogherà con Federico Ruffo, autore del servizio di Report sull’inchiesta relativa alla morte di un collaboratore della Juventus coinvolto nel bagarinaggio, oltre che sui presunti rapporti tra ‘ndrangheta, ultras e alcuni dirigenti della società bianconera. Poco dopo la messa in onda del servizio, Ruffo è stato sorpreso intorno alle 4 del mattino da ignoti che hanno cosparso di benzina prima l’ingresso dello stabile in cui vive insieme alla famiglia, poi il pianerottolo e la porta d’ingresso del suo appartamento.
«Negli ultimi anni abbiamo assistito a una deriva di odio e intolleranza che poco ha a che vedere con quello che succede in campo», spiega Ruffo che in più occasioni ha sottolineato sulle persone che sui social gli scrivono augurandosi che “la ‘ndrangheta completi il lavoro”. «Del resto, tanti tifosi sono stati aizzati anche da molti blog e microblog che a lungo hanno screditato l’inchiesta. Spesso il senso di appartenenza e la fede calcistica prevaricano qualsiasi argomentazione».
Una situazione che può avere dei risvolti sociali non indifferenti. «Tra le tifoserie organizzate», valuta Ruffo, «c’è un’organizzazione gerarchica, piramidale, nella quale i leader sono visti come luogotenenti. In nome di questo, un capo può chiedere ai propri affiliati di fare qualsiasi cosa e, talvolta, si arriva anche a orientare il consenso politico. Mi è capitato di indagare il rapporto tra i tifosi e alcuni esponenti politici».
Ultimo appuntamento del Festival, in programma alle 21.15, sempre al palazzetto dei Nobili, la proiezione di “Shelter – Addio all’Eden” di Enrico Masi. La storia di Pepsi – nome di fantasia – militante transessuale nata nel Sud delle Filippine in un’isola di fede musulmana. Dal Mindanao fino alla giungla di Calais, Pepsi rincorre il riconoscimento di un diritto universale, vivendo l’odissea dell’accoglienza in Europa. Un protagonista in transizione alla ricerca di un impiego stabile come badante, dopo aver lavorato per oltre 10 anni nella Libia di Gheddafi come infermiera, prima di essere costretta a seguire il flusso dei rifugiati.
«Pepsi», spiega Masi, «ha deciso di non rivelare la propria identità anche perché, per sopravvivere, ha dovuto trovarne più di una. Il regista incontrerà Fulvio Bugani, fotografo, autore del reportage “Waria: Being a Different Muslim” in un incontro moderato dalla giornalista Germania D’Orazio. Previsto l’intervento di Patrizia Passi (Arcigay L’Aquila) e Paolo Taviani, docente di storia delle religioni all’Università dell’Aquila. «Ho seguito a più riprese la fase di emergenza e di ricostruzione post-sisma», racconta Masi. «Ho realizzato immagini inedite con l’intento di lavorare su un documentario sul terremoto dell’Aquila. Un progetto che è rimasto incompiuto, nonostante le numerose visite. Abbiamo avuto modo anche di visitare gli insediamenti di Roio e di Pescomaggiore».