Follow the music. Segui la musica e ti ritrovi a guidare per cinquanta chilometri sull’autostrada più sgangherata del reame, dove si viaggia solo a corsie alterne tra cantieri, segnaletica improbabile e ponti tagliati a metà, tanto che di notte sembra quasi di muoverti dentro un quadro di Escher.
Segui la musica e ti ritrovi a parcheggiare davanti all’insegna del Why Not 2.0, all’inizio dell’area industriale di Carsoli (L’Aquila), poco dopo il casello dell’A 24. Why Not, uno di quei cartelli che vedresti bene ai margini di una Interstate americana, un’insegna a cui fai caso quando i chilometri che ti sei messo alle spalle diventano troppi e capisci che hai bisogno di fermarti.
C’è da dire che viaggiare su una Interstate è decisamente più facile rispetto alle nostre strade: lì i cantieri sono molti di meno. Del resto, negli Stati Uniti, quelli che si chiamano Toto li mettono a cantare e suonare successi come “Africa”, “Hold the line” o “Rosanna”. Non certo a gestire tratti autostradali.
Comunque, ad attirare l’attenzione è stato l’annuncio di una jam session rimbalzato un po’ in tutto l’Abruzzo. Una proposta di Carlo Morgante, musicista marsicano, session man, autore per gruppi e fratello di Giuseppe, membro fisso della band di Fiordaliso. Carlo, invece, è fresco fresco di collaborazione discografica con Marco Malatesta nell’album “Il burattino delle stelle”.
È una serata ben impegnativa per lui: davanti al mixer c’è da smistare schiere di musicisti, o aspiranti tali, intervenuti alla jam. Da una parte i Wannabe, pronti a salire sul palco e regalare al pubblico l’energia di un sogno che puoi avere solo a sedici anni. Gli stessi che poi, però, mettono i valvolari a palla e non mollano gli strumenti al gruppo successivo neanche dietro minaccia. “It’s only teenage wasteland”, cantavano gli Who.
Dall’altra i Would have been, i molti, moltissimi che per un po’ di anni a fare i musicisti ci hanno anche provato. Ora fanno altro, ma non per questo la musica è meno centrale nella loro vita: prima spendevano la paghetta in dischi e strumenti musicali, ora arrivano a impiegare un quinto dello stipendio in vinili, casse Fbt e pedaliere multieffetti, di quelle che da sole occupano mezzo palco.
C’era, a tal proposito, il buon vecchio Michele Babbo, ai tempi del suo negozio cult “Musicando” in via Cimino, all’Aquila, che si divertiva a parlare di questi mille suoni artificiali: “La chitarra se vuoi te la carico pure con 5-6 effetti in contemporanea, poi però se senti un elefante cantare è molto meglio”.
E jam sia. “Voglio essere considerato un poeta jazz che suona un lungo blues in una jam session di una domenica pomeriggio”, scriveva Jack Kerouac. Sul palco vedi “gente di ogni…”. Duetti alla Bud Spencer blues explosion sulle note di Misirlou nella versione di Dick Dale, quella di “Pulp Fiction”. Gente che si è fatta le ossa con i Black Sabbath (gli Blecche Sabbatte per la gente del posto), un gruppetto fighetto che fa le cover rock anni Novanta.
E poi ci sono loro, Alessandro e Claudio Forzosi due gemelli di quelli uguali uguali. Di quelli che portano stessi jeans, stesso taglio di capelli e stessa maglietta. Cambia solo il colore delle righe centrali. Di tanto in tanto, Giulia Amici fa capolino dietro la tastiera. Bravissima ad azzeccare la tonalità e restare sul pezzo. Sempre, di tanto in tanto, dai bagni del locale si sente qualcuno che canta La Bamba.
Dalle parti del mixer si aggira Alessandro Ciarelli, “la Belva”. Docente di chitarra che ha lasciato una grande impronta all’Aquila dove ha lavorato per molto, prima di trasferirsi a Carsoli. Perché la Belva? Beh provate a sentirlo suonare. Ed è un peccato che non sia in vena di esibirsi, dice vestendo un look camicia a fiorellini, pantaloni anni Settanta e modi di fare che un po’ ricordano Rocco Papaleo. “Preferirei di no”, risponde a chi lo invita, parlando come fosse Bartleby lo scrivano. “Qui ci sono i miei alunni, non sta bene”.
Non solo musica. In giro per il locale ci sono quadri di arte contemporanea, omaggio alla London Underground e immagini in movimento di un presente morbido. Intorno ai cavalletti si aggira una bambina con le treccine alla Greta Thunberg, proprio lei con qualche anno di meno.
Un paio di ragazzine sperimentano l’abbinamento di colori con le tempere, mentre Lorena Bernardi realizza in diretta un ritratto mozzafiato di Joker, magari un omaggio al capolavoro di Todd Phillips, ancora nelle sale e, naturalmente, al talento di Joaquin Phoenix.
“Vorrei aggiungere la scritta”, dice, “vorrei far dire a Joker: Moon, can you understand me? You’re not a passtime – Luna, riesci a capirmi? Tu non sei solo un passatempo”. E il cerchio potrebbe chiudersi qui.
Ma non si chiude, perché quando sembra che tutti ormai stiano andando a dormire e, dal bancone, iniziano a pensare a piazzare la prossima serata di Pork ‘n’ roll, dal palco iniziano a suonare i Pearl Jam.
Tanto basta per tirare tardi altre due ore. Tre, se si considerano i tempi tecnici per tornare a casa, guidando nell’autostrada a corsie alterne. Già è tanto a non incontrare nessuno contromano.