L’Aquila Grandi speranze bocciata dalla città
No. Forse non valeva la pena di scomodare Dickens e le sue Great Expectations, e cioè quelle “Grandi speranze” che hanno ispirato il titolo della fiction di Marco Risi, la cui prima puntata è andata in onda martedì sulla Rai. Almeno questo sembra il parere di moltissimi aquilani, che hanno inondato i social di commenti tutt’altro che lusinghieri. E dire che le aspettative erano alte, non solo per le tantissime persone chiamate a fare le comparse durante i mesi di ripresa. Poco cambia che, a livello nazionale, la puntata sia stata premiata con il 13% dello share, con un totale di 3 milioni e 100 mila telespettatori, il miglior ascolto della prima serata.
L’ACCUSA. Sotto accusa la rievocazione dei movimenti di protesta, l’uso di accenti (laziale, umbro-marchigiano) per rappresentare quello abruzzese, l’uso delle biciclette tra i teenager – a tratti dipinti come violenti o autori di piccoli furti nelle case disabitate – ma soprattutto, l’immagine della città agli occhi del resto d’Italia.
“GRANDI BUGIE”. «Non c’erano e non ci sono bambini incattiviti, organizzati in bande a scorrazzare nel centro storico», sottolinea l’onorevole Stefania Pezzopane in un post che parla di “grandi bugie”.
«Non ci piace il terremoto e nemmeno chi usa L’Aquila e quella tragedia come un set per raccontare una banale e bruttina vicenda. Ricordatevi sempre tutti che qui sono morti 309 innocenti. Aiutateci o lasciateci in pace. Così ci fate solo danni. Marco Risi, ma perché?». Duro anche l’altro deputato abruzzese Camillo D’Alessandro: «Una fiction vergognosa. La cosa più grave è aver raffigurato i ragazzi aquilani schierati in bande, nella zona rossa, addirittura impegnati in razzie, come piccoli sciacalli, nelle case abbandonate, che sono sacre per gli aquilani e gli abruzzesi. Vergognosa rappresentazione di quei giorni. E la Rai coproduce e manda in onda una menzogna». Critiche anche dal presidente del consiglio comunale, Roberto Tinari, che si dice addirittura pronto ad «adottare e valutare tutte le azioni possibili, anche quelle giudiziarie, se necessario, contro una rappresentazione irreale e offensiva della città».
“#RECACCETECOSTANZA”. Altro elemento non particolarmente gradito da molti, il personaggio di Costanza, una bambina che nella storia si è smarrita la notte del sisma. Un racconto, fortunatamente, di pura fantasia. Un elemento, forse trainante, nell’ambito della fiction, ma che è stato accolto da molti con un misto di stupore, sdegno e ilarità. Tanto che qualcuno si è divertito a lanciare l’hashtag #RecacceteCostanza. «Riassumendo», scrive Fabio Troiani, non senza ironia, «in questi dieci anni all’Aquila: s’è persa Costanza, e forse anche la sostanza; i ragazzi delle medie vanno a fa’ le ronde in bici e si fabbricano i fumogeni col lattosio (da oggi quindi io sono intollerante anche ai fumogeni); i ragazzi della Dante Alighieri sono tutti energumeni ripetenti; dopo 1 anno e mezzo i ragazzini erano in grado di occupare la Prefettura (quasi completamente crollata in realtà); gli adulti hanno tutti gli accenti possibili… tranne l’aquilano; c’erano costruttori che sono venuti qui solo per fare affari… Ah no! quello è vero!». Dispiaciuti tanti fan di Marco Risi, regista di film importanti come “Il Muro di Gomma”.
PSICODRAMMA. E mentre in molti, tra i commenti positivi (anche sulla colonna sonora), hanno ricordato che dopotutto si tratta di una fiction e che, per natura, prende spunto dalla realtà, ma non è tenuta a rappresentarla come un documentario, il tessuto narrativo resta «difficile da digerire», specie se si ha a che fare con uno «psicodramma del quale ci sentiamo tutti protagonisti», come scrive Massimo Alesii. «Difficile se alla metafora si sostituisce una realtà documentaria artefatta. Difficile se un plot narrativo sgangherato racconta una storia inverosimile a chi sta ancora vivendo quella dura realtà. L’Italia», aggiunge, «ha visto tramite Rai 1 un dramma tutto nostro traslato in linguaggio da fiction. Viene da chiedermi dove fosse il confine, dove il limite, dove la zona rossa che non andavano varcati usando la leva apparentemente innocente dei nostri ragazzi, tramutati in novelli scugnizzi di una via Pal (riferimento auto-accreditato dalla produzione Rai, ndc) che francamente in 10 anni non abbiamo mai visto o annotato nei fatti di cronaca. Perdonateci se ancora una volta siamo entrati nelle vostre case, come aquilani raccontati da chi ha scelto una versione della nostra realtà dura, ma sopportabile e alquanto surreale per narrare gesta e sentimenti di un popolo di montagna nobile e antico in quello spazio di vita e morte che non avete mai visto e non vi auguriamo di vivere mai».
REAZIONI CONTRASTANTI. «La fiction», fa notare Fabio Ranieri, esponente di Articolo 1- Mdp, «fa partire la sua storia nel settembre 2010. Non c’era nessun ragazzo nelle tende e, come descritto, erano i Musp a ospitare i giovani aquilani, che ovviamente da mesi erano tornati a vivere in città. Il centro storico dopo 2 anni, seppure in parte ancora “militarizzato”, era pieno di gente che si avventurava in zona rossa. Le piccole bande di “quartiere” ci sono sempre state. Da giovani, la bandiera da pirati ce l’avevamo davvero, piantata su un balcone di un palazzo in costruzione a Porta Napoli dove andavamo a nasconderci. Capisco che vado controvento, ma a parte che la fiction è veramente bruttina, lo scandalo sui nostri ragazzi proprio non lo vedo (mica hanno descritto Gomorra)». Anche Martino Matteoni ricorda, molto meno romanticamente, che le baby gang non sono affatto un’invenzione della fiction invitando a fare un giro in piazza San Flaviano. A Risi sono state indirizzate lettere di protesta. E suonano significative, col senno di poi, le parole di Luca Barbareschi nel giorno del decennale quando l’attore aveva espresso l’auspicio di evitare «bolle mediatiche», evitando cioè di cadere nella tentazione di credere «che basti un giorno per ricordare o per mobilitarsi per poi pensare che sia risolto tutto».