L’Aquila, quelle chiavi sulle transenne del centro
7 Aprile 2019 Condividi

L’Aquila, quelle chiavi sulle transenne del centro

Nessuno se la sentì di fermare il flusso di gente che, per la prima volta, forzò le transenne ai Quattro Cantoni, per entrare a piazza Palazzo. Nel febbraio del 2010, dopo dieci mesi di emergenza, alle ferite del sisma si era sovrapposta l’ingiuria delle parole degli imprenditori che ridevano nelle famose intercettazioni da poco rivelate dai media. E questo aveva contribuito ad accrescere la tensione.

Ma a spingere quelle transenne c’erano soprattutto decine di chiavi appese simbolicamente come per dire: “Qui ci sono le nostre case, il centro storico è nostro e vogliamo riprendercelo”. «Tornatevene a casa: disobbedite ai divieti. Tornate e riprendetene possesso con le vostre cose, i vostri rumori e i vostri odori». Farà poi dire alla luna, Paolo Rumiz nella post-fazione ai Gigli della memoria (Tabula Fati) «La zona è rossa, ma di vergogna perché viene preclusa ai vivi. Non lasciate sole le vostre pietre». Una sfida rimasta in sordina per molti, alle prese con la fatica di un quotidiano che, specie all’inizio, assomigliava poco a quello che si considera vita normale. Sono stati però i più giovani a rispondere a quell’appello trasformando alcuni angoli, temporaneamente abbandonati del centro città, in una “no man’s land” da conquistare e reinventare.

Lo stesso Rumiz, anni prima, aveva parlato di Sarajevo come una città “dalla testarda urbanità che sopravvive agli inverni, ai cannoni, alle restrizioni alimentari, all’assenza di luce, acqua e gas” rendendo giustizia a una comunità capace di centellinare ogni residuo comfort, di non rinunciare ai riti di un’antica vita borghese, ai suoi concerti, ai suoi spettacoli. Quelle stesse contraddizioni che vivono tanti giovani all’Aquila, in un centro storico di una città piccola nella dimensione, ma non nelle aspirazioni. Nel corso degli anni, scelte strategiche di ricostruzione hanno lasciato una prima impronta all’interno del centro storico, specie a ridosso dell’incrocio tra il cardo e il decumano della città. Ma a creare fermento è la grinta di una generazione di teenager che non ha mai avuto modo di adagiarsi in un tessuto sociale accogliente, sovrapponendo le proprie passioni e la voglia di centro a un tessuto sociale che esiste e non esiste.

«Luoghi come quelli che esistono oggi», scrive la ricercatrice universitaria Rita Maccarrone, «i ragazzi terremotati se li sono conquistati, se li sono creati loro, non se li sono trovati belli pronti come noi, che avevamo i portici, i nostri vicoli, il Mythos e lo Squeak. I ragazzi terremotati si sono ricreati la loro vita tra le macerie con tanta fatica e per questo la amano e l’apprezzano più di quanto abbiamo fatto noi». Tanto è cambiato nella vita dei giovani in questi dieci anni, con tanti Millennial che a stento ricordano i locali che tenevano banco prima della scossa, come Magoo, Farfarello, Cornetteria, la Quintana, il Frizzo, l’Obelix, l’Irish “grande”, quello di via Tempera, lo Student e il Tatanka. L’A, il marchio che ripropone in chiave ironica costumi, tradizioni e passioni, ha di recente realizzato una semiseria “Mappa delle 99 tazze” dal nome in codice con cui i giovani ribattezzano i bicchieri. Molti dei locali menzionati non esistono più oppure i titolari hanno tentato la sorte a periodi alterni, inaugurando anche gestioni di nuovo corso.

La movida in centro ha fatto i conti con logiche di aggregati e sottoservizi. All’inizio ci si accontentava di qualsiasi cosa. Un ex capannone, una casetta di legno, una serie di costruzioni provvisorie lungo viale della Croce Rossa. Poi la riapertura del Boss e del bar Nurzia, due pietre miliari, l’8 dicembre del 2009 con una grande festa con migliaia di persone nelle aree allora percorribili del centro. Via Sassa e via Roio, sono rimaste precluse a lungo, ma sin da subito si sono sviluppati poli di aggregazione tra via Castello, piazza Regina Margherita, via Garibaldi e, soprattutto, piazza Chiarino. «Ci vediamo là… a Chiarino c’è troppa gente ma non ci penso e cammino. Stiamo fino al mattino» cantano i due giovani musicisti: Lorenzo Di Pasquale (Amelia) e Federico Vittorini, frontman delle Lingue Sciolte in una canzone registrata di recente per raccontare la nuova geografia della notte, tra bicchieri, impalcature e volti. Parte integrante di questa storia sono anche gli spazi autogestiti, come l’area dell’ex ospedale psichiatrico di Collemaggio. All’inizio era un’area incolta, ricoperta di vegetazione e cespugli, nel cuore dell’area sanitaria. Dal settembre del 2009 da quando, cioè, varie persone hanno lasciato il campo autogestito di via Strinella è stato realizzato un “open space”.

Dallo sport alle riunioni, dai convegni alle presentazioni di libri, dai concerti rock fino all’accoglienza di quelle associazioni che vengono all’Aquila per lasciare un contributo artistico o ludico alla città. Per qualche anno è stato utilizzato anche lo spazio dell’asilo nei pressi dell’ex ospedale San Salvatore, a ridosso di via Nizza. Anche in questo caso si è fatto riferimento a un luogo per anni abbandonato al degrado. L’apertura di librerie e negozi di musica contribuisce alla revitalizzazione del centro. Parliamo del Polarville di via Castello per libri e vinili, oppure della Lillibet di piazza Sant’Elisabetta, sede anche di un gruppo di lettura. Pochi giorni fa, invece, la libreria Maccarrone ha inaugurato un nuovo punto vendita Mondadori nei locali ex Nardis abbigliamento, in piazza Duomo. L’altrettanto storica libreria Colacchi continua a sostenere attività culturali in città, così come la casa editrice Arkhè, anche nella sala polifunzionale Arnaldo Leone in via XX Settembre.

Degna di nota l’apertura, a due passi dalla Fontana Luminosa, della Sharky Art Gallery che nasce come galleria con l’idea di ospitare e promuovere l’arte nelle sue forme più diverse (arte moderna e contemporanea, fotografia, artigianato, performance). Giusto concludere con l’esperienza di Spazio Rimediato, il teatro off in via Fontesecco. In pochi avrebbero scommesso in una programmazione stagionale così generosa, eterogenea e duratura. Eppure, in soli due giri di calendario, lo spazio è arrivato a registrare decine di appuntamenti in cartellone, in aggiunta a corsi di recitazione, chitarra elettrica, disegno e pittura, ripresa e montaggio cinematografico, scrittura creativa e sceneggiatura, fotografia e cartomagia.

Fonte: il Centro