Quattro passi in centro con le icone del rap
No, non te li immagini Afu-Ra e Jeru the Damaja, icone del rap e dell’hip hop della East coast statunitense, in giro per L’Aquila. Uno scatto al Castello, uno davanti alla Fontana Luminosa, un hamburger al Rockers prima di tuffarsi tra la gente del Bliss, a Monticchio, alle porte del capoluogo, per il concerto-evento organizzato anche in omaggio ai 15 anni del Check The Style, una delle associazioni di eventi hip-hop più attive e importanti d’Italia. Una serata in cui i due artisti di origine statunitense sono stati affiancati dai KMaiuscola, tra i maggiori gruppi rap nella Penisola.
In scena anche il Dabadub Sound System per un palco che ha visto la direzione artistica del ballerino Jacopo Scotti Snook, direttore dell’accademia danza Zero Gravity. Fatti i dovuti riconoscimenti, l’occasione di confronto è quella di fare due chiacchiere sull’evoluzione del rap e dell’hip hop dagli anni Novanta a oggi. È talmente informale il colloquio che quasi dimentichi di avere davanti due colossi della black music. Che poi, secondo Afu-Ra e Jeru uno dei primi equivoci da sgombrare è l’esclusiva autenticità dell’hip hop come espressione della cultura afroamericana.
«Come fai a dire una cosa del genere? Come fai a dire che l’hip hop è solo roba che possono fare i neri», sottolinea Jeru the Damaja. «Stiamo parlando di una cultura urbana radicata in tutto il mondo, attraverso le parole, la musica ma anche l’arte figurativa, pensiamo ad esempio ai graffiti. Tutto quello che è espressione umana viene diffuso per imitazione. Anche il linguaggio è un’imitazione. Noi apriamo bocca e parliamo imitando altre persone». Divenuto famoso con il nickname di Damaja (ossia “the damager -il danneggiatore”), la fama del rapper è legata anche all’album di esordio “The sun rises in the East” la cui copertina riproduce le Torri gemelle in fiamme.
«La copertina era legata al titolo dell’album ed è l’immagine di quando ci si sente grandi come il sole e poi si prova a immaginare la forza del sole che arriva vicino ai palazzi e li brucia. Ho provato a evocare scene apocalittiche ispirate alla vicinanza del sole alla terra, come palazzi in fiamme e la Statua della libertà completamente sommersa delle acque. Naturalmente abbiamo scelto questi singoli perché sono delle icone di New York, la mia città di origine».
Ora Jeru vive a Berlino, altra città segnata dal pericolo terrorismo. «Non lo sento questo periodo. Se solo pensiamo alle statistiche c’è molta più probabilità di venire coinvolti in un incidente automobilistico che di subire un attentato. “Shit happens”, le cose brutte possono succedere. Il problema è quando si usa il terrorismo per alimentare le paure individuali, perché paura è controllo». E l’hip hop, aggiunge Afu Ra, «è uno dei modi per liberarsi da queste paure». Un colloquio informale a cui ha partecipato anche Roberto Ciuffini che nella sede del Cpia (Centro provinciale istruzione adulti), ha tenuto una lezione sulla musica afroamericana (jazz, blues, gospel, soul e rap).