Patrizia Tocci, L’Aquila e il cuore nero del papavero
7 Maggio 2017 Condividi

Patrizia Tocci, L’Aquila e il cuore nero del papavero

L’auditorium dell’Ance ospiterà giovedì 11 maggio alle 17 il nuovo libro di Patrizia Tocci “Nero è il cuore del papavero” (edizioni Tabula Fati) con prefazione del giornalista del gruppo l’Espresso, Paolo Rumiz. Un libro che insegue le tracce della memoria, attraverso la figura di un padre che non c’è più, ma di cui restano i gesti, le parole, le abitudini. È la fine di un mondo contadino che s’intreccia ai profumi, agli odori, rumori, colori scomparsi dalla realtà ma non dalla memoria. Attraverso questo dialogo dell’autrice con l’ombra del padre, riemerge una civiltà che sta scomparendo ma che ha formato le nostre categorie mentali. L’infanzia del padre e quella della figlia si confondono, si chiamano e si assomigliano, nel ritrovare radici universali e profonde.

Il pomeriggio vedrà interventi di Mario Narducci, Valeria Valeri, Giustino Parisse e Goffredo Palmerini. Alcuni estratti verranno letti da Adriano Sabatini. «È un libro», spiega l’autrice, «che ho impiegato 5 anni a scrivere. C’è tutta la mia vita, l’ infanzia e la maturità, Il terremoto e la dolcezza della vita, la neve e la malattia, il sorriso è il dolore. È un libro dove non trovano spazio sesso, mafia, inchieste giornalistiche; non è un poliziesco e non è un horror. Ma ci sono il grano e i papaveri, il ciclo eterno abissale della vita e il nostro tentativo di comprendere il perché delle cose. E poi c’è il mio papà, che è come tutti i papà. Unico, indimenticabile, magro e nodoso. Come un albero, alle radici del mio cuore».

Un romanzo che parte da una condizione, quella di scrivere per mesi e mesi di seguito. Praticamente ovunque. «Mia figlia», racconta Patrizia Tocci, «mi aveva regalato un quaderno molto bello – conosce la mia passione per la carta –  e lo portavo sempre con me, in borsa. Ho cominciato a scrivere qualcosa;  qualche giorno dopo, rileggendolo ho sentito che c’era una voce. Da allora in poi è bastato riaprire quel quaderno, è come per un carillon la musica ricominciava. Ho scritto dappertutto. Per molto sono stata in quella dimensione intima e individuale. Tuttavia, mi sono resa conto che le pagine che ho salvato da quel fluire di ricordi non rappresentavano più solo me: ho sentito che anche altri avrebbero potuto riconoscersi in quelle parole».

Di qui il lavoro che rappresenta sostanzialmente un viaggio nelle dimensioni interiori del tempo, in cui il presente ritrova nel passato il filo conduttore dell’esistenza e lo utilizza per fare spazio al futuro. «Ci sono molti mondi che scompaiono nel libro», sottolinea l’autrice,  «quello della mia infanzia, L’Aquila e il terremoto, la cultura contadina. Eppure tutto questo persevera, continua ad esistere. Allora scriverne avrebbe potuto significare farli continuare ad a esistere dentro di me, riportarli in vita». Una dimensione circolare del tempo, in cui l’autrice prova la sensazione di essere contemporaneamente dentro e fuori dal tempo. Una riflessione d’insieme che investe anche la condizione di una città colpita dal terremoto. «Il sisma è stato uno stimolo alla riflessione. Cosa resta, quali sono le “cose” essenziali ed importanti d la vita, il valore della vita».