Dentro al neuromarketing, l’arte di pilotare l’inconscio
È una calda giornata autunnale di sole in Ohio, Hillary Clinton indossa il suo tailleur blu durante una manifestazione elettorale, tenta di rassicurare l’elettorato di uno stato chiave. In Iowa Trump al contrario sfoggia una cravatta rossa, accanto a lui Melania in completo e cappotto di un rosso altrettanto acceso, vuole galvanizzare le sue truppe e trasmettere l’immagine del leader alla testa della sua armata pronto a conquistare l’America.
Tutti abbiamo un fiducia incrollabile nelle nostre scelte, convinti di assumerle in totale autonomia ma il neuromarketing ci insegna che non è così. Nell’ultima frontiera del marketing, neurologi e psicologi sono stati reclutati per capire come influenzare le scelte di acquisto e di consumo: l’imperativo è scavalcare il momento della decisione razionale per intervenire a livello del subconscio.
L’elio pompato negli impianti di aria condizionamento dei casinò di Las Vegas, eccita i giocatori. L’adrenalina rilasciata dal cervello innalza la loro soglia di percezione del rischio, spingendoli a fare giocate più azzardate. Aroma di cheeseburger diffuso nelle catene di fast food per stimolare l’appetito.
Non si tratta di espedienti di poco conto ma di tecniche ben precise con una efficacia sorprendente. Lo ha scoperto Eric Spangenberg, psicologo della Washington State University, che durante un esperimento ha dimostrato come l’aroma di vaniglia diffuso nei negozi di abbigliamento femminile riesca in alcuni casi addirittura a raddoppiare le vendite.
Le tecniche di neuromarketing fanno leva su meccanismi di funzionamento inconsci del cervello. Siamo bombardati costantemente da una mole imponente di informazioni, colori, odori, suoni, forme, tutti stimoli da elaborare per assumere una decisione di azione, dalla più semplice alla più complessa. Il nostro computer biologico però ha dei limiti. Secondo alcuni calcoli la sua capacità computazionale è compresa tra le 1013 e le 1016 operazioni al secondo. Per semplificarsi la vita quindi il nostro cervello ha messo a punto degli automatismi che lo rendono in grado di elaborare stimoli e assumere decisioni in modo automatico. In frazioni di secondo. La chiave di tale operazione è la memoria, l’esperienza del vissuto. Quando annusiamo un odore sgradevole, si tratterà di una molecola emessa da un cibo marcio in via di decomposizione, ed immediatamente assoceremo per esperienza quello stimolo olfattivo alla non commestibilità.
Allo stesso modo, come rivelato dallo Scent Marketing Institute, l’odore del talco e del bucato innesca ricordi legati alla famiglia, suscitando in noi stati d’animo ed emozioni positivi. Lo aveva scoperto già Proust un secolo fa.
Rimane affascinante capire come questo accada. Il bulbo olfattivo è la parte del nostro cervello che si occupa di elaborare gli odori, si trova nell’ippocampo, dove conserviamo la memoria episodica, quella di lungo termine. Siamo in una delle aree più primitive del cervello, quella che regola le emozioni.
Questa vicinanza tra le aree determina un effetto a cascata, così un semplice odore attiva una catena di associazioni nel subconscio, che ci spingono ad essere felici piuttosto che tristi, compassionevoli o eccitati. Lo stato d’animo, si sa, influisce sulla decisione di acquisto, così senza saperlo siamo indirizzati e guidati.
Odori, colori, forme, rappresentano altrettanti stimoli che dicono al cervello di ordinare la produzione di una sostanza piuttosto che l’altra, adrenalina (che stimola ed eccita) invece che ossitocina (ormone legato al comportamento materno).
Da oggi, quando in modo distratto metterai le uova nel tuo cestino della spesa, pensa che fino a qualche decennio fa erano bianche. Il marroncino che vedi è frutto di ricerche di marketing e vitamine nei mangimi: richiama la natura e i paesaggi di campagna, e fa vendere più uova.