Epopea aquilana, da Libero a Mastru Peppe Pazzò
Mastru Peppe Pazzò, Renato Spasimante, Peppino Galeota, Libero… sono solo alcuni dei personaggi caratteristici dell’Aquila de ‘na ‘ote, attori e comparse della città che era tra piazza Duomo e dintorni. Personaggi che l’avvocato Antonello Carbonara, già presidente dell’Ordine professionale, ha deciso di raccontare in un libricino distribuito nell’ambito degli eventi del “Pianeta maldicenza”. Racconti, aneddoti, testimonianze raccolte e raccontate perché “La vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”, come recita un aforisma di Gabriel Garcia Marquez posto all’inizio dell’opuscolo.
«Sono cresciuto in mezzo ai vicoli del centro», scrive l’avvocato Carbonara, «perché i miei genitori e i miei parenti più stretti (a partire daju “Cecateju”, mio nonno) erano tutti commercianti e i loro esercizi erano per lo più posizionati a piano terra mentre le abitazioni si trovavano ai piani superiori. Sono nato e ho vissuto in via Patini», prosegue l’avvocato, «che era di per sé un luogo dove potevi trovare dei personaggi caratteristici giacché, oltre ai commercianti, rigorosamente riconosciuti per il soprannome (“Vittorio ju pelatu”, “Don Peppe”, “Ju ragioniere”, “Tirò”, “Specchiu” e via dicendo) ve n’erano alcuni a dir poco singolari come “Zi Rosa”, commesso della macelleria Antonetti, basso e grasso; “Peppinucciu della Fara”, commesso del negozio di Fara San Martino con labbro proteso. E poi Mastro Peppe detto “Commò”, ciabattino con la gobba e cantante sopraffino delle feste dell’Unità, concorrente di Federico “ju scarparu”, un artista delle riparazioni nella cui bottega campeggiavano le foto della nevicata del 1956». L’elenco va avanti e i nomi che si alternano riempiono strade e piazze del centro storico.
Fuori della porta delle “Anime Sante”, ad esempio, chiedeva l’elemosina “Elenuccia” che quando chiedeva qualche soldino ringraziava dicendo: «Dio ti benedica», aspettando la risposta: «Dio lo faccia». E poi c’era “Orghetta la pazza”, nobile decaduta, inseguita da un gruppo di ragazzacci che la prendevano in giro. E poi, a ridosso dell’ospizio di Collemaggio si poteva incontrare “Angeluccio”, un uomo piccolo, avvolto in un lungo mantello, al quale la gente batteva le mani dicendo che: “La banda di Celano fa schifo”, per sentirsi rispondere “la cucca ’e mammeta!!”. C’era anche un altro Mastru Peppe, detto “Pazzò”, già conducente di carrozze con rimessa in via dei Giardini, il quale, mentre visitava i negozi per elemosinare qualcosa, candidamente era solito chiedere “te’ niente ruttu?”. (fab.i.)