Lo specchio del rock: il sogno dell’eterna giovinezza
«I hope I’ll die before I get old», spero di morire prima di diventare vecchio. Aveva 20 anni, Pete Townshend, quando scrisse queste parole per “My Generation”. Per il chitarrista degli Who, come per tutti noi, a quell’età essere vecchi significava avere 30 anni o poco più. Nessuno immaginava che le star del rock potessero stare su un palco a 50 anni passati. Troppo vecchi, pensavamo.
Troppo giovane abbiamo pensato un po’ tutti, ieri, quando abbiamo appreso che un altro grande della musica rock se n’era andato. Prince aveva solo 57 anni. La sua morte è l’ultima di una serie nera iniziata in gennaio con la scomparsa di Davd Bowie e proseguita poi con le morti di Glenn Frey e di Keith Emerson. I miti della nostra giovinezza se ne vanno e ci sorprendiamo, ogni volta, a scoprire che hanno l’età che aveva nostro nonno quando eravamo al liceo. Quale che sia l’età di chi lo interpreti, il rock resta soprattutto la musica della giovinezza, nostra e delle stelle che ammiriamo.
Come le altre rockstar scomparse in questo inizio di 2016, Prince era un giovane-anziano che, grazie alla sua musica, era riuscito a trascendere i limiti dell’anagrafe. In fondo, quell’eterna giovinezza che la fama e il talento preservano oltre la morte riflette, come uno specchio benigno e ingannevole, il nostro personale desiderio di immortalità.