Il porto di Tanger, avamposto dell’Africa
Il mio arabo non va oltre un paio di frasette e non posso andare avanti a suon di “Shukran”, “Habib” e “Shewaia shewaia”. Tante cose che si dicono sul bus non le capisco neanche e a volte pure andare in bagno è complicato. L’unica cosa da fare è farmi adottare temporaneamente dalla signora Nayma Kariati, l’unica donna a bordo, ex dipendente delle Ferrovie dello stato, si fermerà a Casablanca. «Mio figlio Andrea ha lavorato come volontario nel terremoto dell’Aquila», racconta. Il suo intervento mi toglie dall’imbarazzo di accettare di passare la dogana di Tanger, subito dopo il traghetto dall’Andalusia, con una valigia non mia. «Sei pazzo? Non si sa mai che responsabilità ti vai a prendere, vuoi essere arrestato?». Ha tantissima roba al seguito e ha approfittato dei bazar marocchini nelle stazioni di servizio spagnole per prendere foulard o coperte. Vorrebbe che la seguissi a Casablanca per farmi conoscere suo marito, ma ho ansia di arrivare a Marrakech: superiamo El Borouj e Cala e i monti dell’Atlante appaiono sullo sfondo. E il viaggio verso Marrakech continua.
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Marrakech express: il porto di Tanger