Colapietra col terremoto ha chiuso
«Colapietra col terremoto ha chiuso». Chiedere al professor Raffaele Colapietra un’intervista sulla notte del 6 aprile e sugli eventi successivi è ormai sconsigliato. Non che manchino argomenti, ma la sua apparente reticenza nasconde il desiderio di liberarsi dai cliché e dalle etichette. «Si parla più dei miei gatti che dei miei libri», commenta, ricordando la sua casa in centro, rimasta intatta ma spesso al centro dell’attenzione mediatica.
Colapietra, storico prolifico, ha scritto opere su biografie, politica, Stato Pontificio, Mezzogiorno, Abruzzo e L’Aquila, città alla quale è profondamente legato. Nato nel 1944, racconta episodi di un’infanzia vissuta tra adulti e il contesto particolare dell’ospedale psichiatrico di Collemaggio, dove suo padre lavorava. «Non erano lager, ma luoghi dove i disadattati trovavano una certa accoglienza», precisa.
Riguardo al presente, non si sbilancia sul futuro della città post-sisma: «Chiedetelo alla Asl o alla Provincia», taglia corto. Parla invece del passato, dal fascismo al Novecento, sottolineando le conquiste dei lavoratori, oggi minacciate dal ritorno a dinamiche ottocentesche. Su temi politici, richiama figure come Benedetto Croce e descrive le divisioni tra Natali e Gaspari nella DC abruzzese.
Tornato in Abruzzo negli anni Settanta, Colapietra si è dedicato a ricostruire l’identità regionale, studiando il territorio come un mosaico complesso. L’Aquila, definita un sobborgo di Roma, è per lui diversa da Pescara, più autonoma e proiettata verso il nord Italia. Critica la mancanza di progettualità nella regione e alcune iniziative, come l’attribuzione errata dell’architettura di Santo Stefano di Sessanio ai Medici.
Sulla ricostruzione post-terremoto, sottolinea come nel 1703 la popolazione fosse meno incline alla fuga. Cita figure coraggiose come Perseo Capulli, che riaprì il suo studio in breve tempo, e lamenta lo spopolamento del centro storico. Tra ricordi, analisi storiche e critiche urbanistiche, trova infine spazio per la quotidianità: «Vengo qui prima degli altri», dice alla trattoria, «così mi servono come un signore».