Richiedenti senza casa, in 25 dormono all’aperto
30 Ottobre 2025 Condividi

Richiedenti senza casa, in 25 dormono all’aperto

La cicatrice di Usama taglia l’addome in diagonale, quindici centimetri di pelle ricucita in fretta. Lui la sfiora con due dita, mostrandola da sotto la felpa, senza compiacimento. «Serbia», dice. Secondo il suo racconto, qualcuno ha tentato di rapinarlo lungo la rotta balcanica. Nella fuga lo hanno accoltellato. È stato medicato con alcuni punti di sutura e ha continuato a camminare. La Bosnia gli ha lasciato altri segni, compatibili con morsi di cani utilizzati nei controlli di frontiera.

SETTE ANNI A PIEDI. Usama ha 24 anni ed è partito a piedi dal Pakistan circa sette anni fa. Attraverso Iran, Turchia, Grecia, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia. «A piedi, sempre», ripete.
Oggi non corre più lungo i confini dell’Europa orientale. È fermo davanti alla Prefettura, seduto su una coperta umida, con un sacco di nylon come cuscino. Tiene una borraccia di plastica a metà, riempita più volte alle fontane del centro storico. Attorno a lui altre persone, almeno venticinque: uomini provenienti dal Pakistan, dall’Afghanistan e dalla Somalia. Parlano un inglese minimo, fatto di verbi all’infinito e gesti. Mostrano percorsi sulle mappe degli smartphone crepati. Alcuni sorridono, quasi scusandosi per la richiesta di una coperta o di qualche soldo per mangiare. Il loro numero, spiegano, è destinato a crescere. Arrivano a gruppi, per passaparola. Età tra i venti e i trent’anni, più un uomo di 45 anni che si muove con un bastone.

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ALL’ADDIACCIO. Da dieci giorni dormono all’aperto: parchi, terminal bus, ingressi di edifici abbandonati. Quando cala il sole la temperatura scende di colpo. Un ragazzo utilizza uno zaino come cuscino, un altro avvolge i piedi in due sacchetti di plastica trovati in un cestino. Per i più fortunati, una coperta termica color oro, donata da qualche cittadino. Al tramonto provano a sistemarsi vicino al terminal bus. Cercano correnti d’aria calda che salgono dalle griglie dell’impianto di aerazione. Pochi minuti, poi arriva la sicurezza e li invita ad allontanarsi. Ripartono in silenzio, quasi senza protestare. Quando possono, usano teli e coperte donate dai cittadini. Hamza, 27 anni, racconta di aver impiegato cinque anni per arrivare in Europa. Azil, il 45enne, parla poco e sorride meno: «Gamba no good», dice in inglese, indicando il ginocchio. Tiene il bastone con la mano sinistra, mentre con la destra si appoggia alle ringhiere del terminal. Ogni scalino è un ostacolo. Un giovane solleva la manica della felpa e mostra arrossamenti e lesioni cutanee. C’è il sospetto di scabbia, ma nessuno del gruppo ha accesso a visite mediche. Di notte, se tentano di restare davanti alla Prefettura, il personale di vigilanza li sollecita a spostarsi. Non possono sostare lì. Camminano ancora. Qualcuno indica il cielo con una mano e dice soltanto: «Sleep where?». Nessuno risponde. Usama guarda la sua cicatrice come fosse un documento d’identità. «Abbiamo un problema nel nostro Paese. Siamo venuti qui per chiedere aiuto», dice. La frase resta sospesa nell’aria fredda.

di Fabio Iuliano – articolo uscito anche su Centro, Ansa, L’Aquila Blog