Nel carcere dove era reclusa ora emoziona col flamenco
4 Settembre 2024 Condividi

Nel carcere dove era reclusa ora emoziona col flamenco

G. scende le scale che conducono al palco, i capelli raccolti, il trucco e l’abito di scena. Gli altri artisti la accolgono con un applauso. Il palco è costituito da due tavole appoggiate sul prato del cortile della sezione femminile della Casa circondariale Castrogno di Teramo, gli abiti sono stati cuciti in carcere. G. ha passato più di un decennio reclusa e a breve avrà scontato la sua pena.

È  tra le protagoniste di un progetto volto a far entrare il flamenco tra le mura carcerarie di Castrogno, e ne ha vissuto tutte le fasi, dal laboratorio preliminare, a cadenza settimanale, allo spettacolo conclusivo. G. e le altre detenute sono state inserite nello spettacolo – tablao che nasce dalla collaborazione tra la ‘bailaora’ e insegnante di flamenco aquilana, Ilaria De Angelis, e il progetto “Por Rosas” (Mujeres. Donne che raccontano e si raccontano), della ‘cantaora’ Ana Rita Rosarillo, e la chitarrista Francesca Turchetti,  con al cajon Davide Zanini, e al baile e alle palmas, Irene De Amicis, Luisa Di Fabio e la stessa De Angelis.

Si balla sotto il sole cocente, è stato scelto questo luogo affinché le detenute che non hanno potuto lasciare la cella e alcuni detenuti delle sezione maschile possano anche loro assistere allo spettacolo. La replica davanti al pubblico, qualche ora più tardi, a Palazzo Lucentini Bonanni, a L’Aquila. Questo percorso è iniziato  con un email scritta alla direzione di Castrogno. «Mi chiamo Ilaria De Angelis, ‘bailaora’ e insegnante di Flamenco, qui sono stata detenuta in regime di carcere preventivo nel novembre 2007».  Ilaria è poi  uscita su decisione del Tribunale del Riesame e in seguito assolta con sentenza della Corte di Cassazione. Il progetto è stato avviato a novembre dall’ex direttrice Lucia Di Feliciantonio, si è concluso sotto la dirigenza di Maria Lucia Avantaggiato ed è stato coordinato e sostenuto dalla capo area educativa Patrizia Bruna Boccia.

«Un progetto che ho sempre avuto da quando ho iniziato ad insegnare flamenco, è quello di portarlo nelle carceri, a cominciare da questo, dove sono stata reclusa»,  spiega Ilaria che oggi porta avanti corsi attivi a L’Aquila, Teramo e Carsoli.  «L’ idea è di trasmettere alle detenute l’ importanza che il flamenco può avere nella vita e nel percorso di crescita di ognuno. Nel flamenco  si ritrovano tutte le emozioni dell’animo umano, è necessaria determinazione, dedizione e disciplina, ma è, contemporaneamente, condivisione e sostegno, un rito collettivo.

Nel flamenco ho trovato una cultura e un’ arte che tocca corde profonde, una strada che ha permesso di guardarmi dentro e scavare nel profondo per tirare fuori ciò che sono».  Durante l’ultima parte dello spettacolo anche le detenute tra il pubblico si alzano dalle sedie e ballano, gli applausi arrivano da dietro le sbarre delle finestre delle celle. Quando la musica cessa G. prende  il microfono e ci tiene a ringraziare: «Grazie al flamenco mi sono sentita viva, e non è cosa di poco conto qui dentro». Cita Picasso la dottoressa Boccia nel condividere le impressioni con i partecipanti: «”L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni”, sono parole che trovo di ispirazione rispetto a qualsiasi produzione artistica che avvenga all’interno delle mura del carcere, tanto più nella vita quotidiana di tutti, l’arte ha la potenza di scuotere questa polvere accumulata, queste tristezze  o comunque le difficoltà anche legate al fatto che la persona  viene privata della propria libertà e viene reclusa  all’interno di uno spazio e anche la propria personalità  in qualche modo viene limitata nell’espressione di sé». Un momento di grande impatto emotivo. «Nonostante le difficoltà proprie del contesto carcerario la partecipazione delle ragazze è stata forte», racconta Ilaria. «Le emozioni che abbiamo condiviso lavorando insieme al laboratorio sono state uniche. Sono determinata a portare avanti il progetto in questo ed altri istituti penitenziari».