Aggressione al pronto soccorso, parla la dottoressa colpita
La rincorsa, il calcio violento, la caduta. Concitazione e smarrimento, di fronte a un’aggressione da parte di un 35enne sotto effetto di stupefacenti. A farne le spese Francesca Pacitti, professoressa di Psichiatria all’Università degli Studi dell’Aquila, che sabato scorso ha riportato una frattura scomposta al femore ed è stata sottoposta a un intervento chirurgico con prognosi di 90 giorni. Al telefono dal letto di ospedale accetta di ricostruire l’incidente, con voce ferma che non tradisce della rabbia, pur comprensibile davanti a un episodio che poteva essere evitato, anche perché il comportamento del giovane non sarebbe da ricondurre ad un disturbo mentale in fase acuta piuttosto all’abuso di sostanze psicoattive.
Professoressa Pacitti, cosa è successo sabato?
La persona che mi ha aggredita era appena giunta in pronto soccorso ed era gravemente intossicata da sostanze stupefacenti. Hanno chiesto una consulenza al reparto di Psichiatria ed è così che sono stata chiamata in causa.
Si è trovata da sola a tu per tu con il 35enne? No, l’uomo era affiancato da quattro persone della polizia all’interno della postazione del Pronto soccorso. Improvvisamente durante la consulenza però, ha preso la rincorsa e mi ha sferrato un calcio. Devo ritenermi fortunata ad essere caduta sulle gambe, poteva andare molto peggio.
Da quello che racconta sembra come se, tra le minacce agli operatori sanitari e alle forze dell’ordine avesse scelto lei come bersaglio, magari considerandola fisicamente più debole
È difficile fare una valutazione del genere. L’aspetto veramente grave della vicenda è la continua esposizione del personale di Psichiatria a questo tipo di situazioni. Ossia, l’uomo – da quello che è risultato – aveva a che fare con un’intossicazione da sostanze stupefacenti che nulla ha a che vedere con disturbi psichici del tipo di quello che il reparto di Psichiatria deve farsi carico. Talvolta, invece, è prassi chiamare in causa il nostro reparto alla presenza di situazioni di questo tipo che meritano comunque di essere trattate ma non certo in un reparto di Psichiatria per acuti
Un problema, dunque legato all’approccio
In nessun modo si può considerare una persona i cui comportamenti variano a seconda se ha assunto o meno sostanze alla stregua di una persona alle prese con patologie psichiatriche. Il discorso è complesso, anche in ragione dello stigma a cui i pazienti psichiatrici sono sottoposti per valutazioni errate o superficiali da parte della società in cui viviamo. Qui più che altro la questione è legata anche alla massiva diffusione di sostanze stupefacenti ed al crescente numero di condotte violente perpetrate contro i sanitari, in particolare gli psichiatri.
Che tipo di solidarietà ha avuto dai colleghi?
Massima solidarietà. Ho ricevuto molti messaggi di affetto e incoraggiamento. Ci tengo a dire che organizzazioni come la Società italiana di psichiatria si sono mosse a livello nazionale nel ricordare che ancora una volta si è demandata ad un reparto di Psichiatria la gestione della violenza e della sicurezza, e un compito di custodia che non è in grado di svolgere in quanto disciplina medica: l’uomo, sotto l’effetto di stupefacenti , presentava un comportamento aggressivo e violento, in assenza di altri sintomi psicopatologici.
Alcuni suoi colleghi l’hanno descritta come determinata e resiliente. Tornerà al lavoro quando le condizioni di salute lo permetteranno?
Altroché, stiamo scherzando? Tornerei oggi stesso in reparto se potessi camminare, di certo non lascerò da soli i miei colleghi né tantomeno i pazienti. In tal senso ci tengo a ringraziare i i vertici e i colleghi dell’Asl1 Abruzzo e di Univaq che mi hanno sostenuto in questo particolare momento e i colleghi ortopedici che mi hanno operata.