«La gente ha addosso i tempi di Netflix e dei social network e il teatro non può non tenerne conto». Parola di Arturo Brachetti, trasformista, attore, illusionista e regista teatrale tra i più acclamati al mondo, in tournée con il suo one-man-show “Solo”, che ha fatto registrare quasi 500 repliche. Dopo oltre 500mila spettatori in quattro stagioni, innumerevoli sold out e standing ovation, “Solo” ha ripreso dunque il suo percorso per la quinta stagione e arriverà anche in Abruzzo con un doppio appuntamento al teatro Massimo di Pescara per giovedì 31 marzo e venerdì 1° aprile alle ore 21, in un appuntamento siglato Best Eventi.
Protagonista è il trasformismo, quell’arte che ha reso celebre Brachetti in tutto il mondo e che qui la fa da padrone con oltre sessanta nuovi personaggi, molti ideati appositamente per questo show, che appariranno davanti agli spettatori in un ritmo incalzante e coinvolgente. Ma in “Solo” Brachetti propone anche un viaggio nella sua storia artistica, attraverso le altre affascinanti discipline in cui eccelle: grandi classici come le ombre cinesi, il mimo, la chapeaugraphie, e sorprendenti novità come la poetica sand painting, ovvero la “pittura” con la sabbia, e il magnetico raggio laser. Il mix tra scenografia tradizionale e video mapping permette di enfatizzare i particolari e rapire gli spettatori.
La narrazione apre le porte della casa del suo autore, una casa fatta di ricordi e di fantasie; una casa senza luogo e senza tempo, in cui il tetto diventa il pavimento e le scale si scendono per salire. Dentro ciascuno di noi esiste una casa come questa, dove ognuna delle stanze racconta un aspetto diverso del nostro essere e gli oggetti della quotidianità prendono vita. È una casa segreta, senza presente passato e futuro, in cui conserviamo i sogni e i desideri. Passando dai personaggi dei telefilm celebri a Magritte, dalle grandi icone della musica pop alle favole, fino alla lotta con i raggi laser in stile Matrix, Brachetti crea uno spettacolo pensato per tutti, a partire dalle famiglie. Efficaci le musiche originali di Fabio Valdemarin.
Brachetti, i suoi spettacoli si propongono come metafora del nostro tempo. Cosa propone di nuovo in questo ritorno sulle scene?
«In realtà non ho apportato molte modifiche tematiche, tra queste spicca un omaggio più o meno esplicito alla Casa di Carta. In ogni caso, c’è da aspettarsi una sorpresa ogni 20 secondi, con una raffica di trasformazioni frenetica nei primi dieci, dodici minuti. Nello show convivono lo spirito antologico, tante nuove trovate e un apparato tecnologico che non avevo mai portato prima a questi livelli».
Come è stato il ritorno sul palco dopo il lungo periodo di fermo?
«Mi ha colpito la voglia della gente di tornare a teatro. Abbiamo segnato repliche su repliche. La gente vuole uscire e distrarsi da tanti pensieri negativi che l’attualità dei fatti rimanda, pensiamo al Covid e alle notizie sulla guerra».
Sul palco non ha un attimo di respiro, si è tenuto in forma…
«Naturalmente, si tratta di uno spettacolo piuttosto impegnativo dal punto di vista fisico. Io, in questo, mi sento un quindicenne intrappolato nel corpo di un 65enne. In questo, ha senso il gioco sul palco con la mia “ombra” impersonata da Kevin Michael Moore. Cerco di liberarmi dalle logiche di quest’ultima, ho voglia di volare e, alla fine, voglio anche immaginare la mia ombra felice nel vedermi spiccare il volo, perché quello è l’unico modo di restare fedeli a se stessi. E questo, anche quando volando si rischia di cadere, non solo metaforicamente…credo proprio dalle parti della costa abruzzese di aver fatto una caduta.
Tempi serrati e cambi repentini, a tratti sembra di sfogliare tik tok…
Negli ultimi anni mi sono reso conto di quanto l’attenzione del pubblico medio sia cambiata. I social sono l’espressione più immediata di questo cambiamento che è stato accentuato in maniera drastica negli ultimi 4-5 anni. Se ci si pensa, le cose funzionano così anche con le serie tv di Netflix: in una puntata i protagonisti si conoscono, si amano, fanno l’amore e poi c’è un omicidio: la puntata va avanti così».
Che senso dà al suo trasformismo, tratto distintivo del suo spettacolo?
«È anche questo il senso dei nostri tempi, in un momento in cui sui social si può ostentare qualsiasi immagine di sé, qualsiasi maschera, qualsiasi identità. Il resto nasce dalla voglia di raccontare storie, antica come il genere umano».