Rome wasn’t built in a 42K
Non chiedetemi che tempo ho fatto. Non vado di fretta. Chiunque si mettesse in testa di fare di meglio lo farebbe a occhi chiusi. Non chiedetemi che tempo ho fatto. Chiedetemi che effetto fa svegliarsi alle 3.30 di mattina e arrivare in via degli Annibaldi – avete presente quelle scene di Skam Italia? – davanti al Colosseo, che è ancora notte mentre c’è chi non è neanche all’ultima birra e ti guarda con divisa e pettorale come se fossi un astronauta.
Chiedetemi, magari, che effetto fa correre su secoli di storia, 2.774 anni per la precisione, ma soprattutto sui ricordi che si sovrappongono nella testa. Un presente che è nostalgia di un passato fatto di cose che abbiamo lasciato andare, ma che è anche nostalgia di un futuro fatto di cose da andarci a prendere.
Chiedetemi che effetto fa cantare l’inno di Italia dalle griglie di partenza e ascoltare quell’atto terzo del Turandot di Puccini. Quel Nessun dorma. Quelle albe in cui si vince. L’alba, appunto, si parte. Pronti-via: 42,195 chilometri che attraversano i punti più belli e famosi della Capitale: partenza e arrivo da Colosseo e Fori Imperiali, poi Piazza Venezia, scalinata del Campidoglio, Teatro Marcello, Bocca della Verità, Circo Massimo, Porta San Paolo, Piramide Cestia, Basilica di San Paolo, poi ancora San Pietro, Foro Italico, Piazza Augusto Imperatore, Via Pacis, Piazza Navona, Piazza del Popolo e Piazza di Spagna.
Run Rome The Marathon è tutto questo. Ma è anche Milo che ti chiede strada perché vuole raggiungere e battere i keniani. È Giovanna e Simone, mano nella mano, alla prima maratona. Sono le mani che vuoi stringere quando non puoi farlo.
O meglio, gli unici che si fanno dare il cinque sono i ragazzi dello Special Olympics. È Marco di Barletta che ha la maglia con l’omaggio a Mennea: “La fatica non è mai sprecata Soffri ma sogni”. La maratona è tutto questo. Roma è molto altro. Piano piano si fece Roma e piano piano si farà anche Berlino, fra 7 giorni.