Lundini e la sua rivoluzione comica
Messo così, “Il mansplaining spiegato a mia figlia” appare come un ossimoro, anzi un doppio ossimoro carpiato con avvitamento a destra, con buona pace di Rebecca Solnit, scrittrice americana a cui è attribuita questa particolare espressione. Di fatto, il mansplaining è un neologismo con il quale viene definito quell’atteggiamento paternalistico di alcune persone che tendono a commentare o a spiegare, in un modo condiscendente, troppo semplificato o troppo sicuro di sé, “qualcosa di ovvio”, perché pensano di saperne di più del proprio interlocutore. Il problema però è un altro: se chiedi a Valerio Lundini le ragioni che lo hanno spinto a consegnare al pubblico questo titolo non è che ti dia molta soddisfazione: «Non vorrei deludere le aspettative di nessuno», confessa, «ma l’organizzazione del tour era a buon punto e bisognava dare un titolo al mio spettacolo per le comunicazioni di rito. Così ho optato per “Il mainsplaining spiegato a mia figlia” prendendo spunto da una conversazione che stavo ascoltando in una tavolata di amici e colleghi».
Inutile, dunque – a quanto pare – arrovellarsi il cervello su probabili (o improbabili a questo punto) collegamenti con le tematiche degli sketch e delle canzoni. Inutile dare un’identità alla presunta figlia tirata in ballo. Meglio accomodarsi in platea e gustarsi lo show.
Nel nuovo surreale show dello stralunato comico e presentatore vivranno scene inverosimili, musica e giochi di parole ed effetti speciali multimediali, il tutto presentato nel suo inconfondibile stile. Un appuntamento che si propone anche come occasione per incontrare dal vivo il pubblico che ha iniziato ad amarlo e a seguirlo in tv e sui social. Con il programma “Una pezza di Lundini” (in onda da settembre 2020 su Rai2) Lundini ha rinnovato il linguaggio della comicità televisiva, diventando uno dei personaggi della stagione e un punto di riferimento soprattutto tra i più giovani.
Romano, classe 1986, si è iscritto prima alla facoltà di Giurisprudenza e poi a quella di Lettere, ottenendo qui la laurea. Appassionato di fumetti, si è diplomato anche alla Scuola romana dei Fumetti ma è diventato noto al pubblico televisivo come comico, inviato e conduttore. È stato anche autore in trasmissioni cult come “610” e “Programmone”. La sua appare come una sempiterna parodia alla tv in generale, così come alla comicità tradizionale. A tratti paradossale – e qui Beckett viene di aiuto – irriverente ma mai scontato, Lundini ha saputo conquistare l’affetto di tantissime persone.
Lundini, il suo programma in tv è seguitissimo, lo spettacolo ne rappresenta una naturale prosecuzione?
In realtà ho cercato di scrivere delle cose esclusivamente per il live. Non me la sentivo di “riciclare” idee che hanno funzionato sul piccolo schermo ma che poi, riproposte fuori, rischiavano di essere prevedibili. “Una pezza di Lundini” ha registrato qualcosa come 50 puntate in cui ho cercato di lavorare su idee originali, lavorando contemporaneamente a qualcosa di diverso ogni volta per ciascun ospite. Adesso è ancora prematuro, ma se ci sarà una nuova stagione in tv devo calibrare le risorse per non finire a corto di idee.
Conosce l’Abruzzo?
Credo che questa sia la seconda volta dal vivo, la prima con la mia band. Certo, da Roma prima di questo tempo, facevamo belle incursioni nelle sagre per mangiare e bere. E poi, questa è la patria di Maccio Capatonda.
Con l’attore, comico e regista di Chieti collabora spesso, che idea ha di lui come artista?
Mi piace molto come si pone, come mette davanti la sua comicità sanguigna, dando un’impronta fisica alla performance, senza però rinunciare all’eleganza espressiva. E questo è un valore aggiunto.