Il sapore di quella fragola
Un uomo che camminava per un campo s’imbatté in una tigre. Si mise a correre, tallonato dalla tigre. Giunto ad un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l’orlo. La tigre lo fiutava dall’alto.
Tremando l’uomo guardò giù, dove, in fondo all’abisso, un’altra tigre lo aspettava per divorarlo.
Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite.
L’uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola.
Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l’altro spiccò la fragola.
Com’era dolce!
Non facciamoci illusioni, l’inverno che seguirà sarà difficile, per certi versi ancora di più di quelli post-sisma, segnati da una tragedia enorme ma comunque carichi di aspettative. Nel giro di pochi giorni, il numero dei casi giornalieri – complice anche questo tracciamento maniacale – è destinato a raddoppiare (da 10mila a 20mila), raggiungendo numeri impensabili anche solo qualche settimana fa. Stanchezza e paura si alterneranno, in un misto di tensione e sfiducia, verso se stessi e verso il prossimo, alimentata anche da questo clima di diffidenza reciproca in cui vediamo l’altro – chiunque altro, anche i nostri cari – come potenziale fonte di contagio. Eppure, proprio mentre in tanti invitano a mettere da parte le “cose non essenziali”, non me la sento di rinunciare alle cose in cui credo e a tutto quello che mi trattiene il respiro. Giusto proteggerci quando si parla di morte, ma evitiamo anche la morte a piccole dosi, quella di cui scrive Martha Medeiros. La storiella zen di cui sopra ci viene incontro. Manteniamo vivo il sapore di quella fragola (e non solo perché la perdita dei sapori è uno dei sintomi del Covid).