Victor Perez e il coraggio di chi resta
La donna vestita di bianco al centro della scena apre gli occhi più volte, ora tra le montagne, in un luogo sperduto “in mezzo al nulla”, ora in una stanza di notte. L’orario visualizzato dallo smartphone è sempre e solo uno: le 3,32 che passano alle 3,33 per catturare sempre lo stesso istante. Le sequenze sono scandite proprio dagli occhi che si aprono, come in un film di Alejandro Amenábar.
“Però, quando ho visualizzato il cortometraggio per la prima volta sullo schermo mi sono reso conto di una cosa a cui non avevo pensato prima: 3,32 è un orario indimenticabile per chi era all’Aquila quella notte di 10 anni fa. Per quel motivo ho messo nella data del cellulare quel giorno di aprile, come un ‘Easter egg‘ in riferimento al mio incubo personale, dove ‘io mi sono svegliato in mezzo al nulla’”.
Victor Pérez parla così di Echo, il suo lavoro più recente come regista, vincitore del Best International Short Film Director ai Fabrique Awards, un riconoscimento importante, alla pari del David di Donatello ottenuto per aver curato gli effetti visivi del film Il ragazzo invisibile – Seconda generazione di Gabriele Salvatores.
La sua dedica all’Aquila durante la cerimonia di premiazione del David è stata tutt’altro che scontata. “Ho visto la mia casa crollare. Sono rimasto con solo un pigiama per due settimane, ma quando non hai più niente da perdere capisci chi sei e cosa vuoi”, ha detto più volte. “Sono poi andato a Londra e mi sono gettato nel mondo degli effetti visivi: mi divertivo, mi ci pagavo le bollette, ma il tarlo della regia era sempre lì”.
Trentotto anni, originario di Lucena, in Andalusia – non molto lontano da Cordoba – ha iniziato ad appassionarsi alla fotografia all’età di sei anni. Si è poi dedicato alla “computer graphics” – svolgendo anche piccoli lavori come grafico sin dall’età di 16 anni – ed ha iniziato a studiare da attore, ispirato da autori come Federico García Lorca e opere come Así que pasen cinco años – Aspettiamo 5 anni.
Un primo approccio col surrealismo ce l’ha proprio studiando le opere del poeta granadino. Il debutto di Pérez nel cinema arriva con El camino de los ingleses di Antonio Banderas del 2006. Proprio l’amore per il teatro – e per l’arte in generale – lo ha spinto poi in Italia, a Reggio Emilia inizialmente. Lì ha conosciuto la sua futura moglie, Maria Chiara Ranieri, un’insegnante dell’Aquila. Di lì a qualche tempo, la scelta di dare una svolta alla sua carriera.
“Pensavo di andare all’estero, magari di tornare in Spagna o, addirittura, raggiungere Los Angeles per iscrivermi all’Università della California”, ricorda. Poi però, la scelta è ricaduta sull’Aquila, all’Accademia dell’Immagine, fondata nel 1992 in collaborazione con l’ateneo del capoluogo.
Pentito di questa scelta?
Tutt’altro. È stato per me uno dei periodi più intensi della mia carriera e, sicuramente uno dei più belli della mia vita. In Accademia ho studiato il linguaggio cinematografico a 360°, mettendo a confronto varie tecniche e vari stili. Questa per me è una base fondamentale per qualsiasi professionista che lavori nel mondo cinema. Ho lavorato a stretto contatto con professionisti come i fondatori Gabriele Lucci e Vittorio Storaro, ma anche Stephen Natanson: giudico l’influenza di quest’ultimo fondamentale a livello artistico, soprattutto nell’idea del “less is more”, del concetto che si può fare di tutto con poco.
Un percorso interrotto bruscamente quella notte, alle 3.32…
Avevo quasi finito il biennio formativo e già iniziavo a guardarmi intorno. Quando, invece, nel giro di pochi secondi mi sono ritrovato a perdere casa e bed & breakfast – un’attività che avevamo messo su per sbarcare il lunario. Solo mesi dopo, mentre il Centro sperimentale di cinematografia si stava insediando, ci è stata data la possibilità di completare gli studi all’Accademia. Ma io con il Csc non ho molto a che vedere. Sono convinto che sia una realtà importante, dalla storia consolidata. Ma l’Accademia era un gioiello per questa comunità, un prodotto genuino per questa terra.
A questo punto è arrivato un altro momento decisivo per la sua carriera, la formazione in effetti visivi a Londra, facendo riferimento a realtà come gli Escape studios di Londra.
Non è stato facile all’inizio e ho dovuto adattarmi anche a soluzioni logistiche temporanee per risparmiare qualche soldo. Certo, ho avuto la possibilità di iniziare a lavorare con Danny Boyle, oppure sul set di Harry Potter. Da quel momento in poi, ho collaborato a moltissimi film anche titoli importanti, come Rogue One, spin off di Star Wars, oppure Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare, passando per Il Cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Circa 6 mesi di lavoro per realizzare qualcosa come 20 secondi. Ma è stata un’esperienza stimolante, anche perché Nolan mi ha influenzato moltissimo, anche per la capacità di sapersi confrontare con grandi produzioni, senza mai perdere l’arte del film making.
Arriviamo dunque al David di Donatello per gli effetti speciali nel film di Salvatores. Alla cerimonia di premiazione, non solo ha dedicato il premio all’Aquila, ma anche a chi ha il coraggio di “rimanere, anche se è difficile”.
Viviamo in una terra meravigliosa e sono contento che l’evoluzione della tecnologia, le fibre ottiche, oltre alla possibilità di lavorare da remoto, caricando e scaricando dati sul cloud. Per questo, da qualche tempo ho lasciato Londra, una città a dimensione solo di chi lavora, e cerco di passare più tempo possibile qui all’Aquila dove ci sono mia moglie e mio figlio James. Tante persone, finito il ciclo lavorativo, lasciano le grandi città. Stiamo costruendo uno studio importante qui a L’Aquila, dove elaborare le produzioni, in sinergia con partner che lavorano in contemporanea da più Paesi nel mondo. Non rinuncio a viaggiare, anche perché siamo a un passo da Roma, dove si può prendere un aereo, partecipare a una riunione in un’altra capitale e, se le condizioni lo permettono, anche rientrare in giornata. Questo territorio ha delle potenzialità enormi, sia in termini di ambienti naturali, sia in termini di posizione geografica cose che il terremoto non può scalfire.
Progetti per il futuro?
Dopo Echo e Another Love, i miei due corti, sto lavorando al mio primo lungometraggio. Preferisco mantenere il riserbo sul soggetto e sulla produzione, ma sono orgoglioso di portare avanti questo lavoro. Continuo a collaborare col regista Matteo Rovere. Siamo anche al lavoro per una serie televisiva su Netflix.