L’approccio non è dei più sereni: chiedo al bancone un bicchiere di ginseng e mi arriva un bicchiere di genziana. Del resto si sa, la storia dello Zampy bar – Zampò per tutti – è scandita da equivoci e leggende metropolitane. Come quella volta che un tale tornò a casa con la macchina sbagliata: anziché salire sulla sua utilitaria, mise in moto una Punto parcheggiata lì davanti, casualmente aperta e con le chiavi nel quadro. Ma la cosa peggiore è che, quando si rese conto dell’errore, tirò il freno a mano e si allontanò a piedi, lasciando l’auto in mezzo alla strada e, di fatto, bloccando mezza via Castiglione.
Ne hanno viste di cose gli abitanti di San Nicola. Quarantacinque anni di storia fanno di questo posto uno dei più longevi dell’aquilano, forse il più longevo tra quelli ancora in attività, ultima tappa di questo secondo ciclo del mio percorso nei “peggiori bar”. Tanto che le serate a porchetta e birra in cannuccia delle domeniche d’estate sono state candidate al patrimonio immateriale della Conca, con voto unanime di ciascuna delle 18 frazioni di Tornimparte. C’è tanto di targa del Comitato festa dell’Addolorata assegnata per “l’impegno e la professionalità con i quali è stata portata avanti l’attività, rendendo nel contempo, significativi servizi alla popolazione del nostro territorio”.
Impressi sull’argento, tra le scritte e il tricolore, i nomi dei fratelli Giuseppe e Antonello Massimiani. Sono loro che portano avanti la gestione del bar tabacchi, continuando sullo stesso solco tracciato da papà Vincenzo. È lui Zampò… nel paese con più soprannomi del regno, la gente lo chiama così da una vita. E da una vita – ben prima dell’insegna luminosa con scritto in giallo “Zampy bar” – che a un certo punto del giorno, o della notte tra i giovani (di tutte le età) di queste parti ci si guarda in faccia e ci si dice: jamo da Zampo’, il “bar Mario” del paese.
“Da ragazzi lo chiamavamo ‘autogrill’, perché era aperto praticamente a tutte le ore”, ricorda l’autore Stefano Carnicelli, originario di Tornimparte. “Potevi presentarti da Vincenzo anche a tarda sera. Se gli chiedevi un panino, lui scompariva dietro al bancone mestichea qualcosa e alla fine qualcosa si inventava sempre per accontentarti”.
Altri, chiamavano questo posto Arnold’s, come il bar di Happy Days, perché era uno dei pochi posti dove potevi trovare un juke box. “C’era sempre musica”, ricorda Maria Milani, dipendente del Cpia L’Aquila, “e si andava per ballare e passare del tempo insieme”. Un’atmosfera che non si è persa nel tempo, tanto che ora, sua figlia Enrica Porto di tanto in tanto continua a far riferimento al bar. “Le feste estive sono speciali”, spiega. “Nessuno sa resistere al richiamo del camioncino della porchetta, che arriva apposta per l’occasione e della birra”.
Solo gli avvisi della bacheca del bar meriterebbe un capitolo a parte. Si va dal corso di danza all’automobile in vendita. E c’è anche la pubblicità di un corso di scuola guida… per trattori. Impara l’arte e mettila da parte. Hai visto mai.
Un capitolo a parte lo merita sicuro la squadra di calcio che ha scelto il bar come quartier generale per ogni circostanza: se si vince si beve per festeggiare, se si perde si beve per dimenticare. In generale si beve davanti allo schermo piatto quando ci sono le partite del campionato o di Champions. E spesso, gli allenamenti finiscono con una arrostata da queste parti.
“Un anno”, ricorda Giuseppe Massimiani, “quando la squadra è salita in prima categoria giocatori, mister e tifosi mi occuparono il bar, letteralmente… due di loro si misero al bancone e iniziarono a servire alcolici a tutti. Va bene che siamo sponsor ufficiale della squadra, però quella volta non ci andò molto bene”. Più di recente c’è stato il passaggio in Promozione che, anche qui, si è risolto con una maxi-festa.
Per non parlare del Fantacalcio che qui si gioca dai primi anni Novanta, con le regole appena definite. Le aste possono durare tutta la notte, specie quando non ci si mette d’accordo sulle quote o bisogna tirare tardi per discutere su come accaparrarsi questo o quel giocatore. Ora che sui campi italiani va in giro Ronaldo le discussioni sono doppie.
“Mi fa specie”, riprende Giuseppe, “vedere il tempo che passa. Abbiamo iniziato a giocare a Fantacalcio che eravamo ragazzetti e ora ci troviamo a metterci d’accordo con le mogli per avere la libera uscita. A volte incontro dei giovani clienti che non riconosco, poi si presentano dicendo di essere il figlio di questo o il figlio di quest’altro. Quante generazioni si sono alternate davanti al nostro bancone!”.