L’animale femmina, intervista a Emanuela Canepa
Con “L’animale femmina” (Einaudi), il suo romanzo d’esordio, ha lasciato un segno nel panorama letterario nazionale, affrontando complesse dinamiche interpersonali con una scrittura elegante e curata. Emanuela Canepa, vincitrice del premio Calvino 2017 proprio grazie a questo volume, è all’Aquila per parlarne, ospite della libreria InMondadori Maccarrone. L’autrice, romana di nascita ma vive a Padova dove fa la bibliotecaria all’università, sarà a colloquio con Stefano Carnicelli, mentre Barbara Bologna leggerà alcuni estratti del volume.
Protagonista della vicenda è Rosita Mulè è una giovane che studia medicina a Padova. L’università vuole essere anche una separazione, una fuga da una madre che vive un’esistenza ossessiva edificata su tante caselle da spuntare. Lo aveva deciso già a 14 anni e ora la ragazza sa di poter vivere. Per mantenersi, lavora in un supermercato. Casualmente, Rosita intercetta il destino di un noto avvocato della città, Ludovico Lepore. Un uomo di oltre 70 anni che si alimenta masticando l’amaro cibo di antichi rancori, come l’amore con Guido che, dopo essere esploso, era stato tradito con il sopraggiungere di nuovi eventi.
Come ha costruito il personaggio di Rosita?
Mi si è presentata fin dall’inizio con caratteristiche piuttosto definite. Vedevo l’età, la provenienza geografica, le inclinazioni, il rapporto difficile con la madre. Quello che non sapevo però era cosa volesse fare. Siamo rimaste insieme piuttosto a lungo, quasi un anno, prima che Rosita abbozzasse un’ipotesi di percorso. In origine forse, quando cioè è comparsa le prime volte, l’avevo vista più cinica e disincantata. Con il tempo ha acquisito un candore che è rimasto come tratto distintivo della sua personalità.
A chi si è ispirata, invece, per caratterizzare l’anziano avvocato, subito definito «un odioso, vecchio stanco e claudicante»?
Se parliamo di personaggi reali devo dire a nessuno. Non ho mai conosciuto un uomo di questo tipo, e tutto considerato mi dispiace. Con i suoi limiti, è comunque un uomo interessante, che possiede una sua definita visione del mondo. Credo che avrei trovato stimolante confrontarmi con una persona così, e di sicuro non mi sarei annoiata. Tuttavia, come dicevo, non ho avuto questa opportunità. In compenso una delle cose che mi sono sentita dire più spesso da quando il libro è uscito, è che in certi ambienti gli uomini di questo genere sono tutt’altro che rari. Se parliamo di ispirazione narrativa invece, direi che tutta la sterminata catena di vecchi odiosi e senza redenzione che popola la letteratura del XIX secolo, a cominciare dall’Uncle Sgrooge di Dickens, è stata di grande aiuto.
Grazie ai flashback scopriamo che anni prima l’avvocato ha avuto una relazione con un compagno di esperienze, sfociata in un rapporto omosessuale non pienamente consumato e poi eclissato dietro a un matrimonio di convenienza. Ritiene questo riferimento in qualche modo significativo, in un momento in cui la società attuale sembra quasi fare un passo indietro nei confronti del riconoscimento dei legami gay?
Non ho fatto questa scelta narrativa per dimostrare un teorema. L’omosessualità è una variante dell’amore legittima come qualsiasi altra, e l’ho applicata perché si confaceva ai personaggi. Detto questo, anche io ho la sensazione di una forte regressione, in questo come in tanti altri campi dei diritti civili minimi, e se la vicenda di Lepore può dare un contributo a sancire il diritto alla pienezza dell’amore in qualsiasi forma, non posso che esserne felice.
Cosa la lega all’Abruzzo?
A dire il vero, è la prima volta che vengo in Abruzzo per una presentazione. Mio padre da bambino ha passato moltissime estati a Roseto, sul mare, a partire dal ’46. Roseto è entrata in qualche modo nella nostra mitologia familiare per alcuni aneddoti della sua infanzia. Inoltre ancora oggi possiede una piccola casa a Rocca di Mezzo, il suo “buen ritiro” visto che ormai Roma, la città di cui sono originaria e in cui lui vive ancora, è diventata inabitabile. Anche la famiglia di sua moglie vive a Teramo. Per me è un’emozione venire all’Aquila, ero in autostrada la sera del 6 aprile del 2009. Guidavo verso Padova. Ricordo ancorala sensazione orribile la mattina dopo, ascoltando le notizie.