L’Aquila, ecco la parrocchia che accoglie i migranti
Dev’essere nel suo libro “Come il fiume che scorre” che Paulo Coelho parla così dell’integrazione: “Quando si avvicina uno straniero e noi lo confondiamo con un fratello, ponendo fine a ogni conflitto. Ecco, questo è il momento in cui finisce la notte e comincia il giorno”. Ma il passaggio dalla notte al giorno è tutt’altro che scontato.
CONDIVIDERE. «L’integrazione è frutto di un progetto condiviso all’interno di una comunità locale come quello che la nostra parrocchia prova a mettere in campo da qualche anno», spiega don Dante Di Nardo, parroco di San Francesco a Pettino, una delle realtà che ha saputo tradurre in atti concreti l’appello di Papa Francesco all’accoglienza, attraverso il progetto “Rifugiato a casa mia”. Parliamo di una sinergia della Caritas che consente a parrocchie, istituti religiosi e famiglie di ospitare migranti.
Uomini, donne, famiglie che hanno la possibilità di trascorrere alcuni mesi in un contesto familiare protetto che cercherà di ridargli fiducia e speranza. A Pettino, ben sette giovani egiziani e albanesi sono ospitati in una struttura che fa riferimento alla parrocchia. Altre soluzioni logistiche analoghe (ad esempio a Paganica) sono inquadrate nella diocesi dalla Caritas. Un programma che fa riferimento anche a un’altra istanza nazionale, “Una casa per ripartire”, e che si propone di dare anche una risposta a quei ragazzi che superano i 18 anni e non possono essere più accolti dalle comunità minorili. “Rifugiato a casa mia” non si sostituisce al sistema nazionale di accoglienza, ma mira a essere complementare soprattutto rispetto all’integrazione che appare ancora l’aspetto più debole. «A me interessa il vostro futuro. Se interessa anche a voi andremo d’accordo», dice don Dante ai ragazzi nel riceverli nella struttura. C’è chi lavora o chi prosegue gli studi al Centro provinciale istruzione per adulti, al Cnos-Fap ai Salesiani o all’Alberghiero. E c’è chi viene inserito in programmi di servizio civile o di volontariato come Karam Massud, giovane egiziano che lavora alla Mensa di Celestino o il suo connazionale Mohamed Elsayed – la cui storia è stata raccontata dal Centro – che collabora con la Caritas ed è volontario alla Comunità XXIV Luglio. Il progetto vede la collaborazione di don Pino Del Vecchio, viceparroco esperto di informatica e tecnologie digitali, amatissimo dai giovani della parrocchia. Il giovane albanese Amirson Hodai, dopo aver lavorato come muratore, è stato designato responsabile della casa.
SOSTENERE. Un progetto che non sarebbe possibile senza la solidarietà e il sostegno anche economico di tanti parrocchiani. «Quant’è bello vedere che, nonostante molti episodi negativi che la cronaca registra, nell’integrazione ci si crede in tanti», valuta don Dante dalla sua casetta, mentre è attorniato da Malù, Selvaggia e Billy, i cagnolini padroni di casa.
CRESCERE. Il suo lavoro talvolta rappresenta una continuità con i progetti educativi di comunità minorili come “Crescere insieme” che vede il coordinamento di Goffredo Juchich. Una struttura che riesce a seguire contemporaneamente otto minori (non necessariamente immigrati o richiedenti asilo, anche se gli stranieri costituiscono la maggioranza) e provvedere al loro sostentamento, oltre che al loro orientamento scolastico e professionale. Un percorso educativo completo, insomma. In molti arrivano all’Aquila senza neanche parlare una parola di italiano e nel giro di pochi mesi vengono accolti e inseriti, grazie al lavoro di professionisti come Tamara Alfonso (assistente sociale), Chiara Coletta (psicologa) e Massimo Angelini (educatori).
«Facciamo riferimento anche a mediatori culturali», spiega Juchich. I ragazzi arrivano su segnalazione da parte della questura o degli enti locali. «Abbiamo accolto minori da Fermo, Pesaro e Sora, in quanto le amministrazioni locali hanno espresso apprezzamento nel nostro lavoro». Crescere insieme fa riferimento a un appartamento in via Amiternum. Nell’arco dei due anni e mezzo di vita una trentina di minori si sono alternati qui e c’è collaborazione con il quartiere. «I residenti della zona hanno imparato a conoscere i ragazzi e apprezzare i loro percorsi di vita», conclude Juchich.