Lithium 48: l’eterna fuga su Jay Mag
Capire. Cercare di capire. Chi siamo? Chi siamo diventati? Una corsa, una ricerca esistenziale tra le strade e le linee della metro di una Parigi dall’animo vibrante che avvolge tutto, osserva, schernisce, giudica come la coscienza di un inanimato essere senziente a cui nulla può essere nascosto, nulla può essere taciuto.
Fabio Iuliano, giornalista e blogger aquilano, nel suo secondo, nuovo romanzo, ci porta a conoscere le gabbie, lo stretto spazio vitale in cui, in quest’epoca, ogni uomo o donna si trova a rinchiudersi quasi volontariamente. E mentre gli altri esseri umani si ritrovano a tirarsi dietro la porta e a gettare la chiave lontano, quasi con un sorriso felice e soddisfatto sulle labbra, Simone cerca di fuggire, di evadere da quella gabbia in cui qualcuno o tutti l’hanno rinchiuso. Cerca di fuggire anche da se stesso, scappando dal riflesso dell’occhio liquido di milioni di telecamere dalle quali è ossessionato fino alla follia.
Fugge Simone, fugge da qualcosa, da qualcuno a cui non riesce a dare un nome, un volto, da se stesso. Fugge dai colleghi e dagli amici come un animale impazzito, come una bestia feroce che ringhia per cercare di liberarsi dalle sbarre che lo rinchiudono, che lo opprimono. Fugge dall’appartenere alla generazione del cambiamento, a quei giovani a cavallo tra i due millenni mai così diversi tra loro, cresciuti nel nuovo mondo trascinandosi dietro le utopie del vecchio; fugge da quella generazione che non appartiene a nessuno, sballottata da un secolo all’altro come un senza patria, senza età, senza un vero senso di appartenenza che cerca di adattarsi all’una o all’altra senza mai riuscirci in pieno.
È una vittima, Simone, vittima della globalizzazione, di una tecnologia sfrenata senza senso e di rapporti umani sempre più virtuali, rinchiusi in una vita in cui è più facile avere un rapporto sincero davanti ad un computer con una persona a stento immaginata che guardando l’altro negli occhi. E dietro ad un computer si può essere chiunque e nessuno, cambiando travestimento come in un eterno carnevale, passando da una maschera all’altra, confondendo volti ed emozioni.
Vittime e fuggiaschi senza un attimo di pace, senza un luogo in cui respirare, troppo impegnati a cercare di fuggire dalle proprie, personali gabbie per comprendere che, uscendo, non ci attende nient’altro che l’ennesima gabbia, forse più larga, più comoda ma pur sempre circondata da sbarre di metallo che limitano i movimenti e il libero arbitrio, privandoci di sogni e desideri, schernendoci per le voglie e le passioni, cercando di omologare quel che è giusto provare, sentire, volere.