«Una jam session sui versi di Alda Merini»
«Abbiamo scelto di concentrarci su 46 tra le sue poesie, tante quanti gli elettroshock subìti da Alda Merini nel corso degli anni». Alessio Boni introduce così l’atto conclusivo del Festival internazionale di mezza estate di Tagliacozzo, un concertato a due che lo vede in scena con Marcello Prayer, in un omaggio ai versi e alla vita della poetessa milanese.
Luci soffuse, voci che si alternano in una scaletta che lascia spazio all’improvvisazione «quasi come se fosse una jam session jazz», assicura l’attore, e poi proiezioni di spezzoni di video in cui è la stessa Merini a cantare e a parlare dei drammatici periodi in manicomio, ma anche degli amori della sua vita. Perché il Canto degli esclusi, lo spettacolo che andrà in scena stasera alle 21.15 nel Chiostro di San Francesco, non ignora il dolore, ma non vi indugia. Anzi, lo sublima attraverso la forza di un canto che riesce a virare le luci al grigio. Una produzione a cura di Elena Marazzita con distribuzione Aida Studio, in collaborazione con il Tra, Teatri riuniti d’Abruzzo.
«Dopo Pavese e Pasolini», commentano i due artisti nelle note di presentazione, «abbiamo scelto di continuare il gioco della poesia nella nudità scenica con Alda Merini, dove le nostre voci si alternano e s’intrecciano per diventarne una».
Un percorso fra i libri e le raccolte più celebri come Vuoto d’Amore, La terra santa, Delirio Amoroso, Clinica dell’abbandono. Uno spettacolo che non trascura momenti di ironia anche declinati attraverso alcuni aforismi della Merini come «Ringrazio i miei nemici perché sono i più attenti a ciò che scrivo»; oppure: «Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri»; o ancora : «La lobotomia è il tocco finale di un grande parrucchiere» e via dicendo.
«Alda Merini aveva la capacità di trascendere il dolore, di passarvi attraverso senza ignorarlo», sottolinea Boni. «In vita conobbe grandi sofferenze, come il fatto di aver vissuto lontano dalle sue quattro figlie, oltre allo stigma della malattia e l’ingiuria dei ricoveri. Ma l’energia del suo canto non si è mai spenta, così come la sua capacità di scherzare sulla sua stessa condizione. La sua capacità di guardare oltre».
Chi conosce Boni, parla di un suo motto che lo accompagna da sempre: «Se il tuo mondo non ti permette di sognare, scappa verso un dove puoi». Quelle parole che hanno spinto l’attore bergamasco a lasciare il lavoro di piastrellista e il lago d’Iseo per intraprendere un viaggio che non si è mai fermato.
Boni, come è nata l’idea di questo omaggio?
Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2012, a seguito del terremoto dell’Emilia. Anche in quella occasione, come fu per L’Aquila nel 2009, fu chiesto a molti artisti di esibirsi per regalare dei momenti di sollievo alle persone delle aree colpite dal sisma. Con Marcello abbiamo scelto di lavorare sui testi e sulla biografia di Alda Merini, una storia di passione e determinazione, nonostante sia stata bistrattata, ridicolizzata. Abbiamo messo su questo duetto, facendo leva sull’impostazione scenica di Orazio Costa Giovangigli di cui entrambi siamo stati allievi. Il resto lo ha fatto il carisma di questa donna che ritroviamo anche a duettare con Lucio Dalla, in una delle proiezioni incluse nello spettacolo. Ne esce fuori un messaggio di speranza che fa bene a molti, a partire da chi ha perso casa e affetti durante una tragedia.
Un messaggio significativo in un anno difficile come questo, specie in un momento in cui paura, rabbia e risentimento attecchiscono facilmente. non trova?
Vengo dal Bergamasco e ne so qualcosa: ho visto amici e persone vicine alla mia famiglia perdere i propri cari o affrontare lunghi periodi di ricovero. Proprio per questo, storie come quella di Alda Merini o quella di Nelson Mandela sono da esempio: si possono affrontare 27 anni di carcere anche senza covare rancore. Ma lo si può fare solo se, anziché anestetizzare il dolore, lo si affronta e lo si supera. Come Narciso nelle parole di Ovidio, un fiore che rinasce dopo la morte. Ho imparato ad apprezzare questo poeta classico anche grazie all’amicizia con l’attore e regista Pietro Faiella, originario di Sulmona. Una volta, mi è capitato di ascoltare di una signora che aveva perso il marito e sua figlia pronta a darle delle gocce per aiutarla a dormire. Ma lei: “Devo sentirlo questo dolore, altrimenti che senso avrebbe avuto la vita con tuo padre?”
A proposito di miti, per il piccolo schermo si è ritrovato a interpretare Ulisse, il viaggiatore per eccellenza. a cosa sta lavorando adesso?
Stiamo girando la seconda stagione della Compagnia del cigno, la serie ambientata al Conservatorio Verdi di Milano. Quella di Ulisse fu una prova non da poco, anche fisica: dovetti prepararmi sei mesi in Francia con un maestro d’armi per imparare a combattere con scudo e gladio. Ulisse rappresenta l’uomo che non si stanca di scoprire, che non rinuncia al canto delle sirene.