Fabio Iuliano è giornalista, musicista e docente di lingue straniere. Tra le sue collaborazioni vanta quelle con l’agenzia Ansa e il Centro. In passato ha lavorato a Parigi e Milano per Eurosport e Canal + . Ha condotto alcune inchieste sull’immigrazione con reportage in Italia, Romania e Marocco e nel 2007 ha vinto il premio giornalistico Polidoro. Per quanto riguarda la scrittura, nel 2016 ha pubblicato per Aurora Edizioni “New york, Andalusia per cemento. Il viaggio di Federico Garcìa Lorca dalla terra del flamenco alle strade del jazz”. Nel 2017, invece, ha pubblicato sempre per la stessa casa editrice “Lithium 48”, grazie al quale mi ha concesso di scambiare con lui alcune considerazioni. Lithium 48 è un romanzo breve ispirato a una vicenda realmente accaduta, di cui potremmo parlare come un viaggio all’interno della geografia del desiderio e della paura. La vicenda è ambientata a Parigi nell’aprile del 2002, in un momento in cui l’occidente si è lasciato alle spalle la paura del Millennium bug, senza superare quella per l’attentato alle Twin Towers. Simone è sedato e rinchiuso in una piccola stanza bianca dell’Espace Maison Blanche. Una struttura dove vengono accompagnate le persone sottoposte a trattamento sanitario obbligatorio. È solo l’atto finale di un itinerario di 48 ore attraverso i vicoli di una Parigi controversa e misteriosa, dove verrà ricostruita la vita di un ragazzo ossessionato dalla paura di essere costantemente inseguito dalle telecamere
Centralmente: desiderio e distopia in Lithium 48
Quanta responsabilità avverte lo scrittore che si prefigge di raccontare una storia realmente accaduta?
Due responsabilità nel caso del mio scritto. Anzitutto quella di attenermi alla cronaca della vicenda o, quantomeno, di mantenere l’equivalenza semantica quando sono stato costretto a glissare su qualche particolare o a procedere per analogia. L’altro aspetto importante è stato, invece, quello di proteggere dati sensibili del protagonista, la cui identità non può e non deve essere rivelata. Per farlo ho rivestito il personaggio di tanti aspetti che mi appartengono, dai gusti musicali alle esperienze di viaggio.
Mi piacerebbe sapere se questo romanzo breve, proprio in quanto ispirato a una storia vera, sia il risultato di una collaborazione oppure di un lavoro completamente tuo.
Niente di quello che facciamo è veramente nostro. Tanto lo devo a Giuseppe Tomei, che firma la prefazione ed è stato il curatore del libro insieme a Mirko Zanona. Un ruolo importante l’hanno avuto gli incontri anche brevi e fugaci, ma orientativi sulle scelte narrative successive, in un momento in cui mi era ben chiaro cosa raccontare ma non altrettanto come.
Le tue suggestioni musicali alternative rock, che vanno dagli anni ’70 ai ’90, sono frequentemente menzionate e riportate in questo romanzo breve, influenzando così anche il ritmo narrativo; a volte breve e conciso, altre concitato e inarrestabile. Hai subito anche qualche influenza letteraria durante la stesura
Tante opere della beat generation ci insegnano a tirare fuori qualcosa partendo da un ritmo. Per quanto riguarda l’aspetto dei contenuti, mi è venuta incontro la distopia. Aggiungo inoltre di essere legato visceralmente alla mia musica. Sono arrivato al sound dei Pearl Jam, che in estate ho visto dal vivo a Roma e Barcellona, passando per i versi di Jim Morrison e i power chords di Kurt Cobain.
Te lo chiedo perché il lettore è sottoposto a una narrazione a ritroso che si dipana soltanto con l’astensione dal giudizio, dalla certezza. Come il protagonista, non conosciamo dall’inizio le ragioni del trattamento sanitario obbligatorio al quale è sottoposto; non è forse, questa, una tattica per sottintendere un messaggio più vasto?
In un certo senso sì. Il disagio di Simone, nei suoi percorsi con passi scanditi da paura e angosce, rappresenta simbolicamente i mali della società complessa. D’altro canto, ho cercato anche un modo per raccontare la grande ossessione di Simone, quella di essere inseguito dalle telecamere. Notte e giorno, sette giorni su sette; come un reality portato avanti senza soluzione di continuità. Dietro questa specie di parodia del “Truman Show” c’è un viaggio spazio-temporale di suggestioni e immagini talvolta fugaci, ma incredibilmente nitide e reali. Tra questi, ossessioni individuali e collettive alimentati da fatti storici realmente accaduti come l’attentato alle Twin Towers. Tant’è che la vicenda è ambientata a Parigi, nell’aprile del 2002, solo pochi mesi dopo l’11 settembre.
Sanità e malattia mentale. Freud sosteneva che il confine tra le due è davvero labile. Nella nostra società degli algoritmi lo è ancora di più?
Tirare in ballo patologie mentali orienta il discorso verso situazioni cliniche ben definite a cui io ho solo accennato nella descrizione della struttura, dove il protagonista viene ricoverato in seguito a trattamento sanitario obbligatorio. Piuttosto ho cercato di concentrarmi sui mali del nostro tempo di fronte ai quali sono efficaci le parole di Franco Basaglia: “Visto da vicino nessuno è normale”. Messaggi pubblicitari e dinamiche commerciali traggono linfa dalle nostre debolezze. Tutti noi, quotidianamente, siamo esposti a una serie di forze che ci spingono a sentirci inadeguati. È un business globale che ci porta a desiderare, a volere. Questo ci crea uno scompenso tale da renderci volubili e vulnerabili in un momento in cui tutto, o quasi, diventa un prodotto, una merce. Dal desiderio si passa alla paura, perché sono due facce della stessa medaglia, sono due fuochi: vanno domati, altrimenti si corre il rischio di rimanere in balia dell’uno o dell’altro. Quanto è difficile mantenere l’equilibrio in un momento in cui gli algoritmi riescono a incidere individualmente e in maniera così profonda sui nostri sensi…”
La poesia, in queste pagine, è vissuta come un richiamo e un tormento immaginifico. Viene contrapposta così alla verbosità della prosa. Il tuo attaccamento a Federico García Lorca–cui hai dedicato anche il libro “Il viaggio di Federico Garcia Lorca dalla terra del flamenco alle strade del jazz”, edito Aurora edizioni (2016), ha influito sul concetto di cui sopra?
Il tema del viaggio sicuramente. Sono innamorato della poesia di Lorca così come del suo sognare incondizionato. Però io faccio il cronista non il poeta e quando fai cronaca ti tocca soppesare ogni singolo aggettivo, per non correre il rischio di emettere giudizi al posto del lettore.
Da quanto hai già ampiamente espresso, in questa epoca storica- fortemente determinata dall’algoritmo del desiderio- anche la persona stessa diventa la merce di un sistema socio-economico sempre più estremo. Questa “esasperazione” quando ha avuto modo di esprimersi, secondo te?
Non molto tempo fa, i messaggi venivano diffusi in maniera unitaria e si poteva al massimo individuare delle sfere di interesse dove far apparire un certo annuncio anziché un altro. L’esempio più banale sono le caramelle posizionate ad altezza bambino al supermercato. Dall’avvento del web 2.0 in poi la musica è cambiata. Gli algoritmi consentono di profilare gli utenti e, attraverso la scienza dei big data, veicolare messaggi commerciali sempre più diretti e precisi, sulla base delle scelte o delle ricerche che ciascun utente fa individualmente. Ci sono algoritmi in grado di ipotizzare che a una serie di commenti espressi in una determinata maniera corrisponda una precisa patologia mentale. E quanto è facile vendere qualcosa, ad esempio, a una persona affetta da disturbo bipolare che si trova nella fase maniacale? Non si fa solo business, ma si cercano anche consensi pubblici. Sul web si vende un paio di scarpe come un’idea politica, tanto per fare un esempio. Anche in Italia, ci sono forze politiche in grado di guadagnare consensi crescenti sfruttando algoritmi che stanno contribuendo a polarizzare l’opinione pubblica con messaggi che viaggiano attraverso i social e che spingono gli utenti a orientarsi sempre verso gli estremi, sia a destra sia a sinistra. Quel che è peggio, per dirla con le parole della tecno-sociologa Zeynep Tufekci, è che le architetture persuasive possono essere inviate sugli schermi privati dei nostri telefoni. Io non so cosa vedi tu sul tuo smartphone ad esempio. Stiamo costruendo distopia per un pugno di clic.
di Valeria Consorte – fonte: Centralmente