“Ho craccato i floppy disc di Andy Warhol”
Fonte: Wired.it 1985: l’artista americano Andy Warhol, uno dei padri della pop art, fa una dimostrazione di computer art in una sala affollatissima. L’occasione è la presentazione dell’Amiga 1000, il primo home-computer (si chiamavano così all’epoca) con una vocazione dichiaratamente multimediale: grafica, animazione e suoni erano particolarmente sviluppati rispetto alle altre piattaforme casalinghe esistenti. Con Andy sul palco c’è Debbie Harry (la cantante dei Blondie, già più volte ritratta dall’artista) che sedendosi su uno sgabello e sfoderando i suoi zigomi leggendari dice: «Andy, sei pronto a dipingermi?». E Warhol, su un’interfaccia che oggi ci appare terribilmente elementare, comincia a “dipingere”.
Andy sarebbe morto due anni dopo, il 22 febbraio del 1987, e delle sue opere digitali si è persa ogni traccia. Warhol, che in quella fase della sua carriera surfava in modo spettacolare su pubblicità e marchette di ogni genere, era pagato come testimonial da Commodore (l’azienda che lanciava l’Amiga 1000) e in molti davano per scontato che la sua esperienza con la computer art fosse stata solo una delle sue tante apparizioni (strapagate) da popstar dell’arte contemporanea.
Tutti tranne uno. L’artista digitale americano Cory Arcangel (nato nel 1978, nel pieno della fase decadente e discotecara di Warhol) era convinto che da qualche parte i “dipinti” digitali del suo artista preferito dovevano esistere. «Nei suoi diari Andy accenna brevemente a questi lavori», ci spiega Cory al telefono da New York. «E sono convinto che fosse genuinamente attratto dal computer come mezzo artistico: quello era un periodo tardo della sua carriera in cui tornava a interessarsi al disegno, come quando aveva iniziato negli anni ’50: e le potenzialità grafiche dell’Amiga 1000 non potevano non stimolarlo». Cory quindi ha deciso di chiedere all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh il permesso di “smanettare” sul vecchio computer e su 40 delicatissimi floppy disc di Andy, religiosamente conservati. Con l’aiuto del computer club della Carnegie Mellon University, Cory è riuscito a leggere i contenuti degli antichi supporti. I floppy disc del 1985 non sono i Manoscritti del Mar Morto ma quasi: la fragilità di quel supporto ha reso particolarmente difficile il recupero dei dati.
Non si poteva rischiare di distruggere tutto nel tentativo di forzarli e poi non si sapeva in che standard fossero stati salvati. All’inizio si potevano leggere solo i nomi dei file, cose come Campbells.pic o Marilyn.pic, e la certezza che lì ci fosse della roba nascosta cresceva. Il risultato è stato sorprendente: Cory e i geek del Computer Club hanno recuperato ben 28 lavori inediti di Warhol, intraprendendo forse la prima spedizione archeologica digitale della storia. «Si parla spesso di recupero o di restauro per questi lavori», dice Cory. «In realtà l’Andy Warhol Museum li conservava in modo impeccabile, ma nessuno sapeva che ci fossero: noi siamo solo riusciti a “craccarli”». Ma davanti a una scoperta del genere Cory Arcangel si sente più artista o storico e restauratore? «Sicuramente avevo sempre addosso il mio cappello di artista: era entusiasmante per me vedere come Warhol si confrontasse con tecniche per l’epoca così nuove; la Marilyn mi ha davvero emozionato per la potenza dei colori e per l’astrazione di alcune soluzioni e la Venere di Botticelli con tre occhi mi ha fatto sorridere: era chiaramente il suo entusiastico tentativo di giocare con il copia e incolla e le clip art».
Warhol vedeva l’Amiga come una versione ultramoderna della tavolozza e del pennello, un po’ come oggi fa l’anziano maestro David Hockney con i suoi straordinari iPad paintings. Cory invece con la tecnologia ha un approccio più concettuale: il suo lavoro è basato sull’estetica stessa delle interfacce e sui meccanismi percettivi che scatenano nello spettatore. «La differenza tra noi però non è generazionale, è culturale. Sia Warhol sia Hockney sono artisti dotati di una grande tecnica e manualità: è ovvio che pieghino la tecnologia al loro modo di intendere l’arte». Se Warhol non fosse morto così presto avrebbe continuato a fare computer art? «Sarebbe stato inevitabile». Facendo un po’ di fantastoria dell’arte si potrebbe immaginare che “l’uomo dei 15 minuti di celebrità” si sarebbe parecchio divertito con i social media. Per non parlare di Instagram…