L'Aquila, Cavalieri: ora puntiamo sull'Urban Center
«Tutto avrei pensato nella vita, salvo che Obama e gli altri grandi della terra sarebbero passati davanti al cancello di casa mia». Professore di storia e filosofia ora in pensione, Walter Cavalieri, ha sfornato intere generazioni di liceali. I suoi libri raccontano frammenti piccoli o grandi di storia di questa città, così come i suoi commenti scandiscono le vicende attuali, con sagacia e, talvolta, ironia. Nei suoi occhi scorrono le immagini di questi cinque anni, dalla scossa di quella notte all’esilio temporaneo a Silvi Marina, senza mai però abbandonare la casa di Coppito, dove vive con la sua famiglia. «Abbiamo avuto danni limitati», spiega, «anzi, a dirla tutta, fino al mattino successivo non ho avuto neanche la percezione esatta della portata di quella tragedia. Certo, dopo le prime ore di sgomento abbiamo deciso di trasferirci sulla costa». Una scelta che hanno fatto in molti, tanto che Cavalieri, nel 2009 di ruolo al liceo «Bafile», ha ripreso servizio nello Scientifico di Montesilvano dove, insieme ad altri colleghi aquilani ha ritrovato tra i banchi molti dei suoi stessi studenti, sfollati alla pari. «Naturalmente», ricorda, «ho cercato di limitare il più possibile il mio soggiorno sulla costa, tanto da anticipare le spese per i lavori del mio alloggio all’Aquila che, comunque, non aveva subìto particolari danni strutturali».
Che impressione ha avuto degli aquilani negli hotel? In tanti hanno espresso commenti contrastanti, seppure nel rispetto della tragedia. Lo storico Colapietra, ad esempio, si è espresso più volte contro la logica del «tutto dovuto».
«Ho sempre sostenuto che una sciagura naturale come il terremoto mette a nudo il meglio e il peggio della condizione umana. Sia tra le tendopoli all’Aquila, sia sulla costa abbiamo conosciuto persone molto generose, cittadini che hanno evitato di gravare eccessivamente sul sistema assistenziale. Gente che si è data da fare per la comunità. Purtroppo, dall’altro lato, io stesso ho avuto a che fare con persone che hanno lucrato sugli affitti, che hanno venduto prodotti alimentari a prezzi improbabili. Altri hanno ottenuto una casetta provvisoria pur avendo la casa agibile, l’elenco è lungo».
Dai furbetti, agli sciacalli, agli imprenditori che ridevano o quelli che dicevano «che culo il terremoto». Cosa ne pensa?
«Vede, Kant affermava che l’uomo è un legno storto, per cui anche se si raddrizza tende sempre a tornare alla sua forma originaria. Le sciagure mettono alla prova e obbligano a reagire. Ma poi l’indole furbesca, parassita tende a riaffiorare. Certo le responsabilità sono individuali ma anche di indirizzo politico. Non bisogna certo dimenticare la speculazione macroscopica compiuta dal governo Berlusconi, con tutto il sistema di aziende legate alla Protezione civile (so che non dico niente di nuovo). Cinque anni di storia hanno fatto venire alla luce i fatti, anche in sede giudiziaria. Una parte minima di aquilani è stata inserita in questo sistema, realizzando profitti spesso anche illeciti ma favoriti dal clima dell’emergenza. Tutto questo va anche imputato a una classe politica locale inadeguata per gestire una tragedia del genere».
Cosa avrebbe fatto al posto di Cialente?
«All’indomani del terremoto il sindaco avrebbe dovuto sciogliere la giunta per nominare un governo di salute pubblica; considerando anche che lo status quo ante non era certo dei migliori, con la maggioranza spesso a rischio. Una governance locale così debole è stata completamente in balìa della Protezione civile che è una vera e propria macchina da guerra».
Nell’arco di pochi mesi Coppito è diventata il centro del mondo, specie in occasione del G8. Che impressione ha avuto da questo cambiamento fulmineo?
«Il G8 ha avuto un impatto molto forte, ma limitato nel tempo. Questi mesi hanno stravolto l’assetto urbano della parte Ovest aggiungendo strade e rotatorie, ma nessuna piazza. Così la città, in questa zona, non ha praticamente luoghi di aggregazione salvo i centri commerciali».
Dal punto di vista sociale, trova aspetti positivi nella vita cittadina nel post-terremoto?
«Uno tra i pochi effetti positivi del terremoto, che è stato anche menzionato nel piano strategico, è stato quello di ampliare di molto il numero di cittadini attivi. Questo ha favorito la nascita di una miriade di associazioni, comitati e liste civiche. C’è stata grande voglia di partecipare: una voglia di proporre soluzioni che contrasta la chiusura e l’arroccamento della politica tradizionale. Nasce su queste basi l’idea di urban center, portata avanti dall’associazione Policentrica di cui faccio parte».
Ritiene che il progetto di urban center sia attuabile?
«Non esiste un’idea complessiva di città e questo tende a favorire interessi particolari e personali. Per questo motivo, è necessario uno strumento come l’urban center, un luogo fisico nel quale portatori di interessi legittimi, associazioni di categorie e imprenditori, tutti quelli, insomma, che possono partecipare a future scelte, possano partecipare alle scelte fondamentali della ricostruzione della propria città».