Alaska, troppi rischi nel turismo estremo: via il Magic Bus
di Vittorio Zucconi – WASHINGTON – Sta come la carcassa di una balena di ferro caduta chissà come nel cuore dell’Alaska, che attira, e uccide, incauti cercatori di sogni. L’autobus numero 142, “the magic bus” nel quale morì Chris McCandless nel mezzo dell’Alaska selvaggia quattordici anni or sono cercando una nuova vita “Into the wild”, nel nulla primitivo, è da rimuovere. Ogni anno, individui, stralunati capitani Ahab in caccia della loro balena bianca, convertiti dalla lettura del libro di Krakauer e dalla visione del film di Sean Penn, si avventurano nel pellegrinaggio verso la carcassa dell’autobus. E i volontari, i “trooper” dell’Alaska, i vigili del fuoco, rangers dei paesi vicini sono stanchi di ripescare i semi-annegati nei guadi che diventano improvvisamente rapide tumultuose, dispersi prossimi all’assideramento o alla morte di inedia. Se, e quando, arrivano in tempo.
Per anni, la carcassa del vecchio scuolabus giallo riverniciato di bianco numero di matricola 142 usato per trasportare braccianti a una miniera di antimonio poi chiusa e abbandonato quando si spezzò un semiasse, era rimasto in un angolo di nulla fra il massiccio del Monte McKinley, il parco naturale del Denali di seimila acri, 24 mila chilometri quadrati (l’intera Lombardia) e Fairbanks, distante 500 km. Ignorato fino al 1992, quando un ragazzo cresciuto negli addomesticati sobborghi di Washington, Chris McCandless, ne scoprì l’esistenza.
Sentì il richiamo della foresta e dopo un trekking di quasi seimila chilometri lo raggiunse. Con viveri per pochi giorni, un sacco a pelo e la certezza di potersi nutrire di quello che la natura attorno a lui offriva, da piccoli roditori a porcospini a bacche ed erbe, Chris fu trovato per caso, morto, dentro il sacco a pelo nell’autobus ormai senza vetri ed esposto ai meno 40 gradi che soffiano dal ghiacciaio vicino e dal Polo. Lo trovarono cacciatori che inseguivano alci lungo il “Sentiero del panico”.
Furono prima un articolo intitolato “Morte di un innocente” scritto da John Krakauer per la rivista Outside nel 1996 poi divenuto libro e il film “Into the Wild” voluto da Sean Penn a scatenare sotto la comoda pelle dell’America suburbana il cuore mai spento del pioniere che pulsa dentro questa nazione.
Chris si era portato due libri, uno di Jack London, l’Omero di queste terre meravigliosamente crudeli, l’altro di Lev Tolstoj. Ma attorno a lui, al culto della “wilderness”, all’ossessione della ricerca di una nuova frontiera e di una nuova vita, ruotavano secoli di letteratura avventurosa, il bisogno di «andare via», la voglia di primitivismo, da London a Conrad, da Melville a Kerouac a Thoreau. Coagulati nel rifiuto della società dei consumi e dei sobborghi, dall’alienazione del Giovane Holden.
Ma l’Alaska, con le sue dimensioni pari a cinque volta l’Italia e una popolazione pari a quella di Genova, non è un film, non è letteratura.
Se il mito, e la popolarità dell’Ultima Frontieracontinuano a crescere allagando i canali televisivi con le stupende corse di slitte, gli abitanti, i locali, i nativi Inuit, conoscono la realtà di quel mondo. Invano avvertono tutti i “sandalistas”, come ironicamente sono chiamati in Centro America gli americani con gli occhi sgranati in cerca di avventura, che quella terra è spietata. I rangers raccolgono ogni anni i resti spolpati di campeggiatori che alzano le loro tendine nelle valli del Denali a primavera, quando le orse partoriscono i loro cuccioli, per essere più vicini a quei meravigliosi animali e ai goffi, soffici, teneri piccoli.
Ma la trappola del “Magic Bus” numero 142 non sono gli orsi bruni, è l’acqua. Per raggiungerlo, i pellegrini che vogliono pagare tributo a quel ragazzo che aveva applicato fino in mondo il proprio motto, «stare fermi è esistere, viaggiare è vivere», devono guadare due piccoli corsi d’acqua, il Teklanika e il Savage, “il Selvaggio”. Facilmente attraversabile, nei periodi di siccità, il Teklanika, che Krakauer nel suo libro considera il “Rubicone” dal quale il ritorno è spesso impossibile, si gonfia e si trasforma sotto la pioggia in un mostro che trascina senza preavviso chi tenti di guadarlo a piedi o a bordo di patetici canottini gonfiabili, i soli che possano essere portati a braccia. Fu nelle acque del Teklanika che una pellegrina svizzera venne inghiottita e uccisa.
Sono un milione e mezzo i turisti che ogni anno raggiungono l’Alaska, una delle terre più affascinanti del mondo, ormai anche in crociere che si addentrano nei grandi fiordi e duecentomila coloro che tentano le imprese del trekking. Gli abitanti, dagli Inuit ancora attestati nei loro villaggi agli organizzatori di tour sanno che il turismo è, dopo il petrolio, la maggior fonte di ricchezza per lo Stato. La magia delle notti artiche e dei giorni senza buio, la caccia alle aurore boreali, la sensazioni di trovarsi in un mondo che non esiste più, attraggono fino al rischio della vita, perché, come anche lo brochure di viaggio ripetono, «l’Alaska non perdona». Non ci sono margini per imprudenze o errori, laddove, come attorno al monte McKinley che ha un proprio, autonomo e imprevedibile microclima, la città più vicina può essere a 500 chilometri.
Furono naturalmente proprio i rischi, il gusto di gettare la propria vita oltre i confini della quotidianità, a spingere verso quella carcassa rugginosa di balena «Alexander Supertramp», come voleva essere chiamato, il Supervagabondo nel 1992. E a spingere i locali a chiedere oggi di sollevarlo con un elicottero e trasportarlo nel piccolo abitato di Healy, raggiungibile in automobile. Per l’Alaska Dispatch, racconta il Guardian di Londra, «l’Ossessione per McCandless» è incomprensibile, come lo è
la beatificazione di un giovane inquieto che il quotidiano bolla come «un inetto, un ladruncolo, un bracconiere incapace anche di mantenere se stesso, un impostore». Ma se il “Magic Bus” 142 non sarà rimosso, il pellegrinaggio continuerà perché i miti sono sempre più forti delle paure, delle mamme e dei buoni consigli. E nessuno è più ascoltato, in America, del richiamo di quella balena bianca chiamata libertà.