12 Gennaio 2014 Condividi

L'Aquila, il sindaco del terremoto lascia

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Il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente esce di scena. Lo ha fatto a testa alta, riconoscendo che la sua presenza alla guida del Comune era diventata un ostacolo per la ricostruzione e per il futuro della città. Pochi giorni fa aveva detto che un uomo politico intelligente è tale se capisce qual è il momento giusto per fare scelte importanti. Lui ha capito di essere rimasto solo. Ieri pomeriggio, in una stanzetta piena di telecamere e giornalisti aveva intorno a sè quasi tutta la giunta comunale e molti esponenti politici. Ma in realtà al centro del palcoscenico Cialente è sembrato un naufrago in lotta con forze più grandi di lui. Ha afferrato l’unica ciambella di salvataggio che gli era rimasta: le dimissioni.

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E in verità a parte frasi d’occasione giunte dal Pd locale e dai principali esponenti dei democrat, è apparso chiaro che nessuno avrebbe fatto più di tanto le barricate per difendere il sindaco dopo l’inchiesta sulle tangenti che hanno toccato uomini della sua amministrazione. La stessa senatrice Pezzopane, pur presente ieri in Comune, non si è fatta vedere a fianco al sindaco in conferenza stampa. C’era invece l’ex deputato Giovanni Lolli. Nello stesso momento in cui Cialente, alle 18,07, pronunciava la parola dimissioni, in piazza Duomo 500 persone ne chiedevano a gran voce la testa (politica). Cinquecento persone non sono tutta la città ma altre decine di migliaia sono rimaste a casa, forse indifferenti alla sorte politica di un uomo, amato e odiato, come tutti i grandi e piccoli leader.

Durante la conferenza stampa convocata in tutta fretta, l’ormai ex sindaco è partito da lontano e ha ricordato tutte le battaglie di questi ultimi cinque difficili anni. E alla fine ha concluso: ho perso. Certo il sindaco non ha fatto molto per rendersi simpatico nei palazzi romani. Per mesi ha trovato sempre la scappatoia per scansare le responsabilità per le cose che non andavano, buttandole addosso ora a questo ora a quello. E alla fine questo e quello gliel’hanno fatta pagare. E’ stato proprio Cialente a indicare alcuni dei suoi “sicari”: l’indiziato numero uno è il governo e in particolare il ministro Carlo Trigilia che in una recente intervista a un quotidiano nazionale lo aveva di fatto sfiduciato con la frase: basta chiedere soldi e lamentarsi. E mentre diceva questo incontrava i rappresentanti dei Comuni minori e altri esponenti istituzionali (per esempio la rettrice dell’università). E’ stato il segnale che il governo voleva fare sponda con quei sindaci che non hanno mai troppo sopportato Cialente per quella sua aria da padrone della ricostruzione e quindi dei fondi.

La maniera migliore per far fuori una qualsiasi persona è quella di tagliargli i viveri. E infatti ieri Cialente ha fatto due conti e ne è venuto fuori che il Comune non ha più un euro per finanziare progetti già approvati. Ma per abbattere il sindaco forse non bastava solo questo. Secondo quanto ha detto in conferenza stampa i pesanti attacchi mediatici «che hanno riguardato anche componenti della mia famiglia» (con riferimento al contributo da centinaia di migliaia di euro avuto dalla cognata per ricomprare una casa al posto di quella distrutta) sono stati il segnale inequivocabile che ormai la sua presenza alla guida del Comune avrebbe incrinato sempre più l’immagine della città rispetto all’Italia e all’Europa: «Oggi sento di essere un peso per la città, mi dimetto nell’interesse della causa della ricostruzione, affinché la nostra voce abbia credibilità presso il Governo. Una voce che oggi è indebolita da una campagna di attacchi mediatici, anche personali e familiari. Ho sempre agito nella legalità, assumendomi con coraggio oneri e responsabilità enormi. Mi sono battuto per la città anche in maniera dura, scontrandomi con i Governi e con i commissari. Ho lottato per avere quello che ci spetta. Se devo pagare personalmente sono pronto. L’importante è che il miliardo di euro che serviva per sbloccare la ricostruzione e avviare i cantieri sia arrivato. Davanti a un ministro che, dopo l’avviso di garanzia e le dimissioni del vice sindaco, afferma che non darà più un centesimo alla città e che incontra, a Roma, la rettrice dell’Università dell’Aquila, creando un Comitato scientifico, con funzioni anche di ripianificazione urbanistica, il tutto senza invitare il Comune, mi rendo conto però che c’è qualcosa di strano. Quello che è accaduto è gravissimo. Se il problema sono io mi faccio da parte. Ho pensato davvero di poter cambiare le cose».

Cialente è stato segnato da una vicenda storica – quella del terremoto – che avrebbe piegato chiunque. Lui a un certo punto – come quando tolse la bandiera dal municipio e dalle scuole – ha pensato di poter fare l’uomo solo al comando contro tutto e tutti. Ieri ha capito che è rimasto solo e senza comando. Cialente ha citato solo di sfuggita il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, eppure nelle sue parole è come se si leggesse un retropensiero: anche il Presidente mi ha abbandonato. Quelle bandiere rimosse dalle scuole avranno avuto un peso. Alla fine, dopo l’annuncio delle dimissioni Cialente ha chiesto le scuse alla città. «Ma non quelle che mi chiede la Inverardi, ma quelle che voglio fare alle persone senza lavoro e agli ultimi di questa città. Per loro le porte del Comune sono state sempre aperte e chiedo scusa a loro per tutto quello che non sono riuscito a fare».

Poi uno sguardo al futuro e un monito: «In questi mesi, prima di riavere un nuovo sindaco, gli aquilani si interroghino su quello che è accaduto e sta accadendo, che trovino forze giovani e una nuova classe dirigente in grado di guardare con fiducia al futuro e assicurare una rapida ricostruzione, credo che in questi anni abbiamo creato le basi affinché questo avvenga». Alle 18,30 finita la conferenza stampa non ha accettato ulteriori domande ribadendo solo che la sua decisione è irrevocabile anche se dovessero chiamarlo Letta o Renzi. Ha salutato commosso due ex operai del polo elettronico. Fuori la porta hanno sostato a lungo polizia , vigili urbani, carabinieri. Come se fosse un fortino assediato. Ma ora il fortino è vuoto. Uno degli operai di cui sopra, andando via ha gridato nel corridoio: adesso vediamo quello che sanno fare tutti i chiacchieroni di questi anni. E’ questa la vera sfida.

di Giustino Parisse – fonte il Centro