1984 compie 70 anni e non è più distopia
7 Febbraio 2019 Condividi

1984 compie 70 anni e non è più distopia

“I libri migliori sono quelli che ci dicono quel che già sappiamo”: è con quest’unica frase che George Orwell ha sempre definito il suo modo di scrivere. Ed è in “1984” che questa verità si palesa nel modo più evidente possibile, attraverso la finzione letteraria di un mondo che, a ben vedere, ha poco di “irreale”: il romanzo venne pubblicato nel 1949 e a rileggerlo ora, dopo settant’anni, la sensazione di trovarsi difronte ad un’opera che non ha semplicemente immaginato un mondo spaventosamente possibile, bensì una realtà a tutti gli effetti già realizzata, è schiacciante.

1984 ha immediatamente colpito l’immaginario comune grazie alle metafore letterarie utilizzate da Orwell per spiegare le dinamiche di un mondo totalizzante, disarmante e alienante. L’illusione della possibilità di un bispensiero laddove è chiaro che l’unico pensiero possibile è univoco e incontestabile fu un’intuizione geniale, così come l’immagine del Grande Fratello che spia costantemente i suoi sottoposti con la giustificazione della sicurezza che è in realtà volontà cieca di controllo è stata una delle più emblematiche del secolo.

Quando inizia a scrivere il romanzo Orwell ha ben presente la realtà in cui vive, e le degenerazioni alle quali i meccanismi del Potere potevano portare: era stato lui stesso uno dei piccoli ingranaggi del sistema, con il suo lavoro per la BBC. Conosceva bene i meccanismi del linguaggio, e della censura, e tutto l’arsenale di mezzi disponibili affinché lo stato di cose funzioni. Storicamente, si legge 1984 come una forte critica, fra le altre cose, ai totalitarismi di cui il mondo aveva fatto esperienza durante e dopo la Seconda Guerra mondiale. Ma il romanzo orwelliano, oggi, si può continuare a leggere nella sua significativa attualità come una cronaca mascherata (dalla finzione letteraria) della realtà. Qualcuno ha detto che in 1984 si parla “del nostro mondo che agonizza davanti a noi”:

Sapere e non sapere; credere fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullano a vicenda; sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo in entrambe, fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale propria nell’atto di rivendicarla (…).dimenticare tutto ciò che era necessario dimenticare ma, all’occorrenza, essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo.

Nel mondo immaginato da Orwell la geografia del dominio è molto chiara: la guerra è lo strumento con cui Oceania, Eurasia ed Estasia mantengono la pace. Il paradosso espresso dal primo dei tre principi cardine dell’ideologia del Socing non potrebbe essere più disarmante nella sua inquietante semplicità: l’odio generalizzato per il nemico imposto dal Potere garantisce il perfetto equilibrio delle parti e assicura l’isolamento necessario affinché i cittadini non si pongano domande né cerchino alternative. In un mondo in cui è la guerra a garantire la sopravvivenza, oltre che il benessere economico, nessuno chiederà mai la pace.

Così come nessuno chiederà mai la libertà: essere liberi vuol dire essere costantemente in pericolo. Solo sottomettendosi al Potere l’uomo può sopravvivere, in quanto parte di una granitica entità, l’unica capace di auto conservarsi: la libertà è qualcosa di troppo imprevedibile, fa paura, perché comporterebbe una fiducia nel prossimo che il Potere non può ammettere e che l’uomo bispensante non sa gestire. È la schiavitù ad essere l’unica vera forma di libertà possibile.

Una schiavitù che è anche mentale, e che trova la sua più grande alleata nell’ignoranza. È questa la vera forza del Potere: riuscire ad impedire l’autocoscienza dei cittadini, infarcendo le menti di verità preconfezionate e non verificabili perché insindacabili: mantenere l’ignoranza, attraverso la censura e la propaganda, è l’unico mezzo davvero indispensabile affinché la società funzioni.

È questo il mondo descritto da Orwell. Un mondo spaventoso e indesiderabile: una prospettiva da cui, attraverso la definizione stessa di “distopia”, abbiamo tentato di allontanarci, come se fosse un orizzonte possibile ma evitabile, facendo le mosse giuste. Ma il romanzo di Orwell non ha, in realtà, “immaginato” niente: Winston Smith, il protagonista, è lo specchio attraverso cui si riflette un mondo che lungi dall’essere “futuro”, è stato Passato ed è Presente.

Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero è libero, quando gli uomini sono differenti l’uno dall’altro e non vivono soli…a un tempo in cui esiste la verità e quel che è fatto non può essere disfatto. Dall’età del livellamento, dall’età della solitudine, dall’età del Grande Fratello, dall’età del Bispensiero… tanti saluti!

di Federica D’Alfonso – fonte: Fanpage.it