Carolina Crescentini: recitare è un’arte musicale
6 Maggio 2018 Condividi

Carolina Crescentini: recitare è un’arte musicale

Dalle corse tra le calli di Venezia «perché durante il Festival in tre giorni fai cose che non faresti neanche in quindici», ai ritmi più distesi della kermesse aquilana che, al contrario, regala alla città una parentesi diffusa di 4-5 mesi: l’entusiasmo genuino di Carolina Crescentini ti fa quasi dimenticare di trovarti davanti a una delle rivelazioni del cinema italiano. Film, serie tv, collaborazioni con registi come Ferzan Özpetek, Gabriele Muccino, Paolo Genovese, i fratelli Taviani. Riconoscimenti come il Ciak d’oro (2011) o come il Premio Giuseppe De Santis come migliore attrice emergente del 2009. E poi Boris e tutto quello che vi ruota attorno. Un curriculum importante che fa di questa attrice 38enne un ospite di tutto rispetto per la cerimonia di premiazione della dodicesima edizione dell’Aquila Film Festival, giovedì scorso. Il suo debutto nel cinema è stato preceduto da vari piccoli ruoli televisivi nelle serie La squadra 4 (2003) e Carabinieri – Sotto copertura (2005) e con il thriller psicologico H2Odio (2006) di Alex Infascelli, uscito direttamente in edicola senza passare per le sale. Poi il debutto sul grande schermo con Notte prima degli esami – Oggi di Fausto Brizzi. «Quello che noi come attori cerchiamo è l’espressione pura e autentica a prescindere dal canale utilizzato», dice l’attrice nel corso della cerimonia all’Auditorium del Parco del Castello. «Certo, cinema e televisione prevedono una fruizione e un rapporto col pubblico del tutto diverso».
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L’AQUILA FILM FESTIVAL: TUTTI I RICONOSCIMENTI
Quanto è difficile fare cinema in un momento in cui tante risorse vengono dirottate sulle serie tv?
È questo il punto. Fare produzioni di qualità implica un coinvolgimento di tutti gli addetti ai lavori. Se ci si muove bene si può fare la differenza anche sul piccolo schermo. Pensiamo ad esempio al successo di produzioni come “Il cacciatore”, la serie di Rai2 approdata a Cannes. Certo, il grande schermo implica un rapporto del tutto distinto. Per andare al cinema devi prendere la macchina, affrontare traffico e problemi di parcheggio. Ti muovi verso lo spettacolo e quindi ti aspetti che poi valga la pena. La tv generalista ammette distrazioni e, talvolta, anche approssimazione. In Boris si è ironizzato su tutto questo.
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In una condizione incerta per le produzioni, fare l’attore oggi non deve essere facile. Quanto è difficile trovare una propria voce e un passo univoco pur affrontando ruoli e metraggi diversi?
Essere attori vuol dire essere precari, perché si va sempre alla ricerca del proprio ruolo. Ho studiato prima alla facoltà di Lettere e poi mi sono diplomata nel Centro sperimentale di cinematografia. Ho elaborato un metodo che mi spinge a studiare maniacalmente i copioni assegnati. Cosa che non puoi certo fare quando fai parte del cast di una fiction di bassa qualità, dove le battute da pronunciare arrivano all’ultimo minuto e qualsiasi cosa è lecita purché rientri nel minutaggio imposto dai delegati dell’emittente.
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Lei è qui all’Aquila con il cantautore Francesco Motta. Quanto conta la musica nel suo lavoro?
Per me la musica è l’arte che racchiude tutte le altre. Per preparare delle battute ascolto delle canzoni a ritmo e questo condiziona poi la recitazione davanti alla macchina da presa. La musica che nobilita anche alcune produzioni, penso a Twin Peaks che, nelle puntate recenti, regala al pubblico la voce di Eddie Vedder, ad esempio. L’ho visto lo scorso anno a Firenze ed è stata un’emozione unica, specie quando ci fu una stella cadente subito dopo l’esecuzione di una cover di Imagine, la canzone di John Lennon.
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Deve essere grande l’influenza sulla sua carriera di nomi come Giuliano Montaldo, Gabriele Muccino o dei fratelli Taviani. Che ricordo ha di Vittorio scomparso da poco?
Nel rapporto di lavoro simbiotico con il fratello lui era quello più dolce. Montaldo lo considero una specie di padre per me. Un grande uomo ancora prima che un grande professionista.
Che idea si è fatta dell’Aquila post-sisma?
Arrivai qui nel 2009 per un progetto artistico legato all’allestimento di una tenda di proiezione dei film e mi resi conto di quanto lo storytelling ufficiale fosse lontano dalla verità. In questo, lavori come Draquila di Sabina Guzzanti hanno contribuito a raccontare una realtà diversa.
di Fabio Iuliano – fonte: il Centro