“Lithium 48”: un’Odissea rock nel caos del presente
2 Aprile 2018 Condividi

“Lithium 48”: un’Odissea rock nel caos del presente

Lithium, come una canzone dei Nirvana. 48, come le ore ripercorriamo a ritroso in questa storia che ci fa sprofondare nelle paure dell’uomo contemporaneo. Il secondo libro di Fabio Iuliano, edito da Aurora, è un viaggio on the road in bilico tra amara introspezione e critica sociale, con un ritmo frenetico debitore del rock alternativo degli Anni 90.

Scorrendo le pagine di questo secondo romanzo firmato da Fabio Iuliano vengono in mente proprio le parole, anzi le urla strazianti, di Kurt Cobain in Lithium: una delle tante perle in bilico tra schizofrenia e disagio nella carriera dei Nirvana. E in effetti, lungo tutto l’arco del racconto, l’atmosfera che invade la scena rievoca quel senso di spaesamento e malessere proprio del grunge, forse l’ultimo grande fenomeno rock “di massa” del Novecento.

Superata la boa del Millennium Bug, il mondo deve affrontare anche postumi e prodromi dell’11 settembre, spartiacque generazionale che ci proietta in una nuova Era, dominata da paura e consumismo: spesso due facce della stessa medaglia o quantomeno due motori che si alimentano a vicenda. Il protagonista della vicenda, Simone, è apparentemente un ragazzo come tanti ma lo ritroviamo catapultato in una situazione straniante, kafkiana verrebbe da dire: sedato e rinchiuso in un’asettica stanza dell’Espace Maison Blanche a Parigi, all’alba del 2002.

Dal cuore dell’Europa dunque, inizierà un viaggio sul quale aleggia da un lato l’ombra delle Twin Towers, ancora più presenti nella loro assenza, dall’altro il peso in un futuro dai contorni sempre più incerti. A coadiuvare la vertigine del racconto c’è poi la colonna sonora evocata e “suggerita”, con tanto di codice QR da utilizzare per recuperare le canzoni citate direttamente Spotify.

Dopo New York, Andalusia del Cemento – il viaggio di Federico García Lorca dalla terra (opera prima dell’autore in bilico tra jazz e flamenco) Iuliano mette al centro della proprio universo narrativo la musica, che diventa il cuore pulsante di una poetica che ricorda per certi versi la frenesia della Beat Generation: questa volta però il suono della catarsi (o dell’abisso?) non è l’assolo di una tromba jazz, ma il ronzio di una chitarra distorta che dilania le viscere.

Fonte: Outsidersweb.it