Eddie, Glen e la magia di Firenze nelle notti d’estate
24 Giugno 2017 Condividi

Eddie, Glen e la magia di Firenze nelle notti d’estate

Le lacrime di Black, sulle battute finali. Quel “Come back” sussurrato dedicato al suo amico Chris Cornell. Quelle due lettere SG che ora stanno per San Giovanni, il patrono di Firenze, ora per Stone Gossard, ora per i Sound Garden. E poi la stella cadente, con tanto di cometa, dopo Imagine.

“Oggi sono qui senza la mia band ed è il più grande concerto solista che ho mai fatto, questo succede solo in Italia”.

Con queste parole, in italiano, come sottolinea Gianmatteo Bruno su Rockol.it, EddieVedder si presenta sul palco davanti a 40-50mila persone, nella seconda giornata del Firenze Rocks Festival. E’ la prima di tre serate nel nostro paese per poi esibirsi in un doppio appuntamento nel suggestivo Teatro di Taormina, il 26 e 27 giugno.

Il leader dei Pearl Jam, uno dei cantanti più amati dal pubblico rock italiano, torna a tre anni esatti dalle date di Milano e Trieste con la band. Ma questa volta da solista, con uno show incentrato nell’essenzialità di chitarra, ukulele e voce ma soprattutto di tanta improvvisazione. Come tutti i fan sanno i suoi show sono caratterizzati da scalette sempre diverse ogni sera che rendono ogni show unico e irripetibile – qui i video del concerto di Firenze.

Prima, nel pomeriggio, si sono esibiti Eva Pevarello e Samuel, leader dei Subsonica, chiamato all’ultimo nel ruolo non facile di sostituzione dei Cranberries fermati dai problemi di salute della cantante Dolores O’Riordan. Subito dopo Glen Hansard, cantautore irlandese, già voce e chitarra del gruppo rock The Frames e grande amico di Eddie: lo accompagna in tutto il tour, come già successo in passato. Propone un set di un’ora molto apprezzato e applaudito tra rock e soul bianco. Curioso il retroscena raccolto da Rockol.it: Glen ha invitato all’ultimo sul palco anche altri componenti della band per dargli una mano, dopo aver saputo che il pubblico della serata superava di gran lunga quello degli show precedenti.

Queesto è il racconto semiserio della serata a cura di Andrea Mariano per Inmediarex.it:

Si parte dalla fine, da quella ragazza che fatica a trattenere le lacrime, da quei ragazzi con lo sguardo fisso per contenere l’emozione, da quell’uomo che sul palco sa di essere già piuttosto ubriaco,tant’è che quando si rivolge ai circa 50.000 presenti all’ippodromo del Visarno scandisce le parole alla stregua di un ottantenne, salvo poi cantare con un’intensità immane. E sì, ci sta anche la risata che spezza la serietà del momento, quando durante “I Am Mine” si ferma per un secondo sorprendendosi di quanto vino scorra nelle sue vene. “Fuckin’ drinkin’..!” esclama stupito, poi continua come se nulla fosse.

Eddie Vedder, sì, quello dei Pearl Jam, quello che ogni volta che viene in Italia non lo puoi tener lontano da del buon vino rosso, quello che ogni volta ripete in continuazione l’aneddoto su come ha incontrato la sua attuale moglie. Quello che si diverte, quello che si emoziona cantando una “Black” struggente e per nulla paracula come qualcuno l’ha definita, perché quando alla fine ripete “Come back, come back, come back…” riferendosi palesemente a Chris Cornell è in una evidente, lacerante, enorme difficoltà emotiva.

Eddie Vedder, sì, quello che si prende per il culo da solo quando si siede davanti al Moog per introdurre “Comfortably Numb” dei Pink Floyd (“L’ho cantata insieme al mio amico Roger, è una bellissima canzone… che sto per rovinare”), quello che davanti a 50.000 (o più verosimilmente 40.000) persone se la prende comoda, come se fosse davvero nel salotto di casa a parlottare e canticchiare tra amici, tra una chitarra, un ricordo e una bottiglia di buon vino rosso (quello, al solito, è la costante).

Una serata, quella di Eddie Vedder a Firenze, con risvolti quasi mistici, quando sul finale di “Imagine” compare in cielo un meteorite che distoglie l’attenzione di tutti e che a noi dinosauri ha rimembrato i “bei” vecchi tempi.

È stata anche una giornata migliore delle aspettative: dopo il ko dei Cranberries e la gara a chi rivendeva il biglietto al prezzo più basso mi sarei aspettato il deserto. Effettivamente fino alle 19:00 non si può dire che l’ippodromo fosse stracolmo, ma gli astanti hanno fatto il loro sporco e sudaticcio lavoro: Altre di B, gruppo emergente bolognese, non se la sono cavata male, presentando un rock dalle tinte vagamente british (odierne, non a la Oasis) orecchiabili, di certo lontano al frantumamento di maroni; la successiva Eva Pevarello, scoperta da Manuel Agnelli in quel tritacarne umana di X Factor, tra un tatuaggio e un taglio di capelli aggressivo si presenta alla corte di Rodrigo D’Erasmo con cui imbastisce un soul da tinte pop e malinconiche molto interessanti, forse un po’ soporifere tra il caldo asfissiante delle sei del pomeriggio e la ricerca all’omino delle bibite più vicino. Sarebbe interessante ascoltarla in contesti più raccolti e da luce soffusa.

E poi arriviamo al tempa caldo, a quel Samuel “ma che cavolo centra coi Kramberris ma dai io rivendo il biglietto anzi lo strappo anzi lo regalo” dei Subsonica ma senza Subsonica. Il ragazzotto ci scherza anche su: “Ragazzi, mi spiace un casino per i Cranberries. Io stesso avevo comprato il biglietto per vederli. Credo di aver realizzato un record: uno che voleva andare a vedere i Cranberries e poi è stato chiamato a cantare sul palco al posto loro”. Alla fine centra il bersaglio: fa il suo, coinvolge quanto basta nonostante la proposta musicale non piaccia al sottoscritto e, cosa più importante, riesce a scongiurare lancio di insulti e quant’altro strappando addirittura qualche applauso. Sapeva di avere avuto un mix tra botta di culo e rischio di farsi fare il culo, ma è andato tutto benone, tranne lo chapeau che ha mostrato la sua orribile calotta cranica.

E (quasi) infine, arriva Glen Hansard, amicone di Eddie Vedder e uomo genuinamente ingenuo.Talmente ingenuo che fino a un paio di giorni prima della data di Firenze non aveva capito che avrebbe suonato davanti a una folla potenzialmente di 50.000 persone (forse avrà pensato “Ma questi stanno fuori, magari volevano scrivere 500, non 50000”). Tant’è che ha chiamato all’ultimo la sua band di supporto e ha cercato via Twitter – sempre con ingenua genuinità – un suonatore di trombone che potesse salire con lui sul palco il giorno dopo. Cose da sagra dell’uva, quando si ammala il bassista del gruppo di liscio e chiedi al tuo vicino di sostituirlo in cambio di birra a scrocco e un piatto di chitarra con le pallottine. È stato bello assistere a un’ora e più di omaccione dagli occhi pieni di gioia e stupore come un bambino abruzzese al pranzo di Pasqua. Set acustico o quasi, trascinante come se fosse rock genuino. E invece erano basso, tastiere morbide, batteria, chitarra acustica e voce ora sommessa, ora graffiante. Chapeau, e stavolta senza l’orrore della crapa pelata altrui.

Fuochi d’artificio che non vediamo, allestimento di palco che va un po’ per le lunghe. Attesa. Eddie Vedder che ammette di aver bevuto un po’, “Ma sono in Italia, c’è il vino, quindi…”. Quindi si fa festa, a modo suo. Prego tornare a inizio articolo and repeat.

SETLIST

Glen Hansard

When Your Mind’s Made Up
Revelate
Winning Streak
Say It to Me Now
Astral Weeks / Smile
Bird of Sorrow
Lowly Deserter
Way Back in the Way Back When
Her Mercy

                                                          

Eddie Vedder

Small Town
Wishlist
Immortality
Trouble (cover di Cat Stevens)
Brain damage (cover dei Pink Floyd)
Sometimes
I am mine
Can’t keep
Sleeping by myself
Setting forth
Guaranteed
Rise
The needle and the damage done (cover di Neil Young)
Unthought known
Black
Lukin
Porch
Comfortably numb (cover dei Pink Floyd)
Imagine (cover di John Lennon)
Better man
Last kiss (cover di Wayne Cochran)

Falling slowly (cover degli Swell Season)
Song of good hope (cover di Glen Hansard)
Society (cover di Jerry Hannan)
Smile
Rockin’ in the free world (cover di Neil Young)

Hard Sun